Ieri notte ho visto il film Il traditore con Pierfrancesco Favino nei panni di Tommaso Buscetta. Al mattino, ripensando al film, ho provato uno strano senso di disagio. Non era certo la sceneggiatura o il punto di vista del regista Marco Bellocchio a turbarmi. La storia di Buscetta è già scritta e conosciuta nei minimi dettagli da chi ha un’età idonea a ricordarsela. Non si può neanche sostenere che un regista come Bellocchio con la sua storia di uomo di sinistra abbia, almeno in quel film, esercitato un’azione di propaganda. Del giochino di Saviano di far passare la guerra alle mafie come un fatto privato della sinistra, ne Il traditore, non c’è alcuna traccia evidente. Tuttavia quel film, nonostante tutto, mi ha lasciato un senso di insoddisfazione e solo poco fa ne ho capito il perché. È stato proprio l’attore protagonista, intervistato su Sky a proposito dell’ultimo suo lavoro Hammamet, ad aprirmi gli occhi. In un passaggio dell’intervista egli dichiara che il suo fine ultimo di attore nei panni di Bettino Craxi è stato quello di scomparire dietro il personaggio. Dopo ore e ore di trucco giornaliero e prove ossessive per intonare il timbro della voce del leader socialista lui, per sua ammissione, si è liquefatto nel protagonista del film. Non ho ancora visto Hammamet, ma il Buscetta di Favino è stato più che un’interpretazione la sua imitazione. Nulla dell’attore più in voga del momento si è intravisto nei panni di don Masino; ne è stato semplicemente la fotocopia. Brando nei panni di don Vito Corleone sarà sempre Marlon Brando e non il boss de Il padrino portato a spasso dalla sua recitazione. La narrazione di una storia non può non passare dalla più intima umanità di chi la racconta e quella non si può nascondere con un’imitazione, seppur straordinaria. Ho avuto la stessa sensazione in Romanzo Criminale nel vederlo nei panni del libanese e in tutte le volte che l’ho visto recitare. Dov’è l’attore Pierfrancesco Favino? Dov’è egli stesso mentre gioca a nascondino dietro il copione delle sue interpretazioni? Forse si è sempre nascosto dietro l’ego smisurato dei Bellocchio, Amelio, Placido e di tutti quei registi dall’ideologia di servizio troppo più grande del suo essere Pierfrancesco Savino nei panni di un personaggio e non il contrario.