Questo non è il tempo della storia, è quello delle storielle social. Quelle che piacciono di più perché alimentano facilmente intere ideologie, con la libera travisazione, l’unica cosa libera in ogni ideologia. In ogni ideologia che si rispetti tutti pensano di sentirsi liberi, restringendo però le libertà altrui e tra i tramiti più efficaci usano storielle che hanno l’obiettivo di propagandare la facile indignazione. Le storielle sono quelle tramandate, ripetute, imparate a memoria, in memoria o in requiem dell’obiettività. L’obiettività non è mai la morte delle idee, ma l’ideologia è la caricatura di queste ultime. Pacifisti che inneggiano a terroristi, “antifascisti” che citano di continuo le leggi razziali e poi teorizzano la distruzione dello Stato di Israele e dei suoi abitanti, “democratici” che citano solo i morti ammazzati in Palestina a causa degli Israeliani, (che mai sarebbero morti senza il 7ottobre 2023), gli stessi democratici che ignorano i trucidati, violentati, rapiti da parte di Hamas, che ha generato quella drammatica carneficina dell’esercito israeliano. Fioccano sui social miserabili haters che pur di ricevere qualche like compiacente, appioppano a chi non la pensa come loro, o, banalmente, a chi semplicemente pensa, ridicole sentenze di “sionismo”e di complicità alla tragica reazione israeliana. Il fatto è che usano parole delle quali non conoscono il significato e che servono solo a incitare il linciaggio di chi cerca solo dei perché, analizzando la storia e i fatti.
A proposito del termine sionismo, utilizzato liberamente e impropriamente come dispregiativo da chi evidentemente non ha letto o non ne ha capito il significato è inutile qui citare la storia (e non le storielle). Per chiarire la storia del sionismo, basta usare il web, provare a sforzarsi di scavallare Wikipedia e spendere qualche ora in più per studiare il tema storico, senza, faziosità. Ciò che preoccupa è l’uso discriminatorio di questo termine, in voga soprattutto tra sinistra, estrema sinistra, al pari dell’estrema destra, al pari delle peggiori forme di dittatura. Non vengano a farci la lezioncina sulla differenza tra antisionismo e antisemitismo, perché non è un problema di definizioni. Marchiare di continuo malevolmente qualcuno con un appellativo, qualunque esso sia, è ciò che, soprattutto le anime belle di sinistra, chiamano discriminazione e che la propaganda di qualsiasi regime ideologico usa per isolare i dissidenti. Anzi quei regimi autocratici, inneggiati dai nostri haters, dove questi ultimi non camperebbero più di ventiquattr’ore, hanno sempre usato sistematicamente le suddette storielle, basate su sostantivi travisati, per individuare e reprimere meglio chi esprime il proprio pensiero. Ricordiamoci, a proposito dei nostri odiatori seriali, avvezzi al linciaggio, che uno dei principi su cui si poggiava il linguaggio elaborato da Goebbels e i suoi era l’incitamento al popolo (Volk) nell’unione contro un nemico comune, gli ebrei (die Juden), che avrebbe rappresentato una minaccia per la sopravvivenza della società tedesca e avrebbe “inquinato” la purezza della cosiddetta “razza ariana”.
A proposito, tutta la mia solidarietà a chiunque voglia esprimersi e gli viene impedito, anche se non condivido nulla di ciò che dice.