Fantozzi osò chiedere al mega direttore galattico con tanto di tuono sconquassatore: «…ma, mi scusi, ma, sire, non mi vorrà dire che lei è comunista…»
Fu ed è tutt’oggi un cult letterario e cinematografico quello del ragioniere più oppresso d’Italia. Paolo Villaggio tuttavia rese una delle metafore più efficaci in tema di oblio della persona nei sistemi sociali in un simbolo politico ben preciso. Lo stesso Villaggio, già iscritto al PCI, scese in campo nelle file di Democrazia Proletaria per le elezioni politiche del 1987 nel listone rosso che comprendeva formazioni sparse della sinistra radicale come il partito di unità proletaria per il comunismo, avanguardia operaia, movimento lavoratori per il socialismo, i gruppi comunisti rivoluzionari. Peccato che la narrazione del ragionier Ugo Fantozzi rappresenti il più coerente archetipo di società comunista postbellica del blocco sovietico. Era la sublimazione dello Stato kafkiano che stritola l’individuo riducendolo in un insignificante suddito, quello nel quale nessuno sa chi è davvero lo Stato, nessuno sa di chi è servo, perché è un sistema fatto per opprimere il singolo rendendolo solo parte di una massa informe di sottomessi a un potere invisibile, di cui si sospetta persino l’immaterialità. Il mondo di Fantozzi, più che quello dell’Italia del 1974, sembrava ambientato in una Praga, una Budapest, una Varsavia stritolate dallo statalismo comunista del blocco sovietico prima della caduta del muro. L’equivoco ideologico dell’indimenticabile autore di Fantozzi era al tempo stesso denunciare l’alienazione appiattita di una società schiacciata dall’omologazione e dal servilismo verso il potere piramidale dell’autorità statale e sventolare la bandiera (rossa) di chi quel potere l’ha ideato e reso reale nell’est europeo e in molti altri paesi del mondo. Tutti abbiamo immaginato che la causa di quell’oppressione fosse la gerarchia sociale che l’abbrutito ragioniere cercava di scalare invano, ma ci sbagliavamo. Nella bolgia dantesca dei personaggi fantozziani, da Filini, alla Signorina Silvani, al Geometra Calboni c’è tutta la tragedia umana della società unica dei paesi comunisti dove le due opportunità per sopravvivere all’omologazione del sistema erano e sono diventare schiavi di quest’ultimo, sulle pelle di altri servi, o isolarsi per perire da dissidenti al grido di: «La corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca!»