Siamo messi male. Più ci penso e più mi convinco che siamo tutti in forte difficoltà. No, non mi riferisco al genere maschile o a quello femminile; guardo alle persone in quanto tali. Soffro nell’osservare la progressiva liquefazione dell’individuo come singolo, mi spaventa la massificazione dei pregiudizi, soprattutto se guidata dall’informazione. La questione della violenza sulle donne, ridotta a concetti parziali come quello di “patriarcato”, ne è un esempio. La Napoli storica e antropologica insieme a decine di altre al mondo, rappresenta un esempio millenario di società matriarcale. Ne esistono in Indonesia, in Messico, in Cina, in Africa, ma a Napoli l’esempio è paradigmatico, perché è uno dei pochi matriarcati esistenti nel mondo occidentale. Non mi interessano gli scontri puerili tra ciò che le piazze intendono per patriarcato e matriarcato. Penso solo che le architetture sociali concrete non si reggano sull’astrazione ideologica. Napoli, ad esempio, come in altre società matriarcali, non necessita di una “Festa della mamma”, perché la maternità e la femminilità sono celebrate ogni giorno. A Napoli “matriarcato” non significa dominio della donna. Lì è frequente che una donna si prenda carico di figli non suoi “adottandoli” e diventandone una madre surrogata, senza necessariamente una discendenza anagrafica dalla propria linea genealogica (matrilinearità). Capita spessissimo che i nuclei familiari femminili assorbano l’uomo della coppia nel proprio consesso (matrilocalità). Inoltre a Napoli, come in alcune antichissime comunità messicane ad esempio le donne di Juchitàn, quelle che ispirarono Frida Kahlo, è nota la solidarietà tra donne e la loro capacità di essere indipendenti e libere rispetto al mondo esterno, nonostante i continui tentativi “maschili” di intervenire.
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Le donne napoletane nella narrazione di Eduardo sono donne forti, che ‘appaiono deboli’ agli occhi del partner soltanto perché, a differenza del maschio, si mettono continuamente in gioco: non vogliono rinunciare a quei turbamenti, a quelle incertezze, alle sensibilità, a tutte quelle peculiarità che marcano la loro profonda differenza. Donne mature che sanno rinunciare, se necessario per l’equilibrio del loro microcosmo familiare, oltre che all’amore all’assunzione di un ‘punto di vista’ meramente femminista, al loro pieno potere.
Il “familismo”, vituperato a condizione solo negativa, perché tradotto in tendenza all’interesse di piccoli nuclei contro il bene comune, addirittura paragonato ai fenomeni mafiosi, per le singole donne di Napoli, se considerato positivamente, ha un ruolo essenziale. È cooperazione e identità.
La violenza sulle donne per me dipende soprattutto dalla non ammissione della complessità delle relazioni affettive. Amare e/o stare con qualcuno non è affatto facile, ma in pochi ne sono consapevoli o lo accettano o hanno gli strumenti per affrontare le inevitabili frustrazioni dei rapporti affettivi. Tuttavia, chi ignora tutto ciò sottovaluta l’evolvere delle relazioni, in funzione del proprio stare al mondo. Se la donna è vittima di stereotipi l’uomo non è da meno e le reazioni possono essere tragiche e spesso a senso unico. E se invece di accusare sterilmente le architetture sociali, in piedi da millenni, si facesse uno sforzo per far comprendere la complessità dello stare insieme, magari cominciando in famiglia a educare i figli ad affrontare le complicazioni ineluttabili di ciò che viene percepito come un sconfitta, ma che non c’entra nulla con l’agonismo?