Mio cuggino mi protegge quando vengono a
Picchiammi perche’ chiamo mio cuggino Anzi, sapete cosa vi dico: io chiamo
A mio cuggino. Cantavano Elio e le storie tese.
Letta ha colpito ancora. Ha sostenuto, a proposito delle alleanze con il M5S, che: “…per battere le destre dobbiamo allargarci“. In sostanza, per vincere non servono idee, programmi, identità, serve solo “mio cuggino” pentastellato, che, seppur privo delle cose di cui sopra, avrebbe la sola funzione di far numero per proteggere il Pd da una possibile sconfitta derivante proprio dall’assenza di idee, programmi e identità a livello nazionale. Quando non so che dire o che fare chiamo mio cuggino, anzi “a mio cuggino”. Quando ho sparato con il fucile a tappo i soliti temi dell’antifascismo, dello ius soli, della tassazione dei ricchi e l’aria compressa si è esaurita mi rimane solo chiamare “a mio cuggino”. Ormai la parabola della sinistra italiana (o di ciò che ne rimane) si esaurisce nelle ZTL e nei convegni patinati dai quali vengono esclusi interlocutori che in passato, a carnevale, si erano vestiti, da ufficiale tedesco della seconda guerra mondiale. O meglio, la curva va a morire là dove un Rettore universitario, autodefinitosi antifascista, rimasto fermo al secolo scorso, pone distinguo storici tra l’Olocausto e i massacri delle foibe solo per tassi di mortalità diversi, sostenendo che se nelle gole carsiche i Titini comunisti hanno buttato meno persone di quelle sterminate dai nazisti, è pleonastico associare le due occorrenze. E allora, per far riprendere quota alla curva, è meglio rivolgersi “a mio cuggino” grillino, anche se pure lui non se la passa tanto bene. Uniti si vince! Solo che dopo aver vinto che si fa? Un idea ce l’avrei. I pentastellati li mettiamo a governare, così le miserie se le beccano loro e noi, dietro le quinte, come sempre, ci facciamo in tranquillità gli affari nostri. Per questo chiamo mio cuggino, anzi “a mio cuggino”.