“La cultura si è chiusa nella torre eburnea. Rimane lì, arroccata in sé stessa, perché ha orrore dei contatti col pubblico, si crede diminuita dai contatti col pubblico. Questa è la cultura italiana. È una cultura di cretini.“
(Indro Montanelli)
Non diffondo quasi mai su Facebook citazioni. Non è per snobismo, ma una delle mie nevrosi mi costringe a comportamenti pignoli, insopportabili per chi mi frequenta e sempre più spesso anche per me stesso. Una cavillosità che, in caso di mio interesse per una qualsiasi citazione, mi obbliga a impiegare molto del mio tempo a verificare da dove proviene, cosa è stato scritto dall’autore prima e dopo di essa, chi l’ha scritta, che tipo fosse e quali fossero le circostanze nelle quali si trovava quando l’ha scritta. È un disturbo fastidioso che mi porta quasi sempre a scoprire che dietro all’immediatezza di molte citazioni c’è un significato diverso da ciò che vorrebbero suscitare e poiché l’emozione immediata è l’essenza di una citazione, cerco di non farmi subito coinvolgere.
Non so cosa ne pensasse di citazioni un grande destrutturatore come Indro Montanelli, ma, non ne faceva grande uso. Oggi la diffusione nelle generazioni del web e dei social network ha un rilievo anche in tema di citazioni. Prima della comunicazione in rete citare era considerato un arricchimento culturale in un buon articolo giornalistico o una dimostrazione di conoscenza a convegni e salotti, oggi no. La facile fruibilità delle fonti, spesso non proprio attendibili, fa sì che citare frasi altrui sia facile e immediato. Per di più gli effetti benefici su chi riempie il proprio profilo di citazioni sono solo nella mente di chi le copia e poi le incolla. Infatti l’agire tramite terzi tra sé stessi e coloro che si vogliono stupire con le parole degli altri, non genera che un effetto mimetico e confusivo, che poi sarebbe la reale intenzione di chi si nasconde dietro una frase citata; celarsi dietro un buon proposito, una buona intenzione, un’immagine etica e retorica allo stesso tempo. In sostanza, tutto ciò che uno vorrebbe sembrare lo reperisce a buon mercato cercando di spacciarsi in pubblico attraverso le citazioni che ha diffuso. Cosa c’è di meglio per richiamare tutti ai propri doveri di coscienza se non citare quei doveri con parole di qualcun altro. Tanto, se qualcuno non è d’accordo, al massimo se la prenderà con chi la citazione l’ha scritta, non con chi l’ha solo copiata. Quest’ultimo, semmai, sarà passibile di inappropriatezza per aver solo amplificato un frase considerata fuori luogo.
Confesso che l’argomento di questo post non sarebbe dovuto essere l’utilizzo delle citazioni, ma visto che lo sta diventando riprendo il filo di ciò che volevo scrivere. Montanelli nel 1973 rilasciò un’intervista a RadioMontecarlo in occasione dell’uscita del suo libro L’Italia della controriforma.
Rispondendo a una domanda del suo intervistatore disse che uno dei problemi principali dell’italiano medio è la sua non conoscenza della storia, in particolare di quella del proprio Paese. Secondo lui, la grande responsabilità di tale carenza è di chi pretende di raccontare la storia con un linguaggio incomprensibile e corporativo, così come è la cultura nel nostro Paese. Il successo del suo libro, sostiene a ragione Montanelli, dipende proprio dalla sua capacità di usare un linguaggio comprensibile a tutti, pur trattando un tema complesso e approfondito come una controriforma religiosa. Ecco la provenienza della frase citata nel titolo di questo post.
La mia nevrosi sospettosa è rimasta, questa volta, a mani vuote. Dietro al contesto di quella citazione c’era esattamente ciò che essa voleva far intendere. “Cultura dei cretini…”: dentro quell’insulto c’è gran parte della retorica fracassona e pomposa degli intellettuali nostrani ancora al giorno d’oggi. Tutti pieni di livore snob verso quella stessa massa che li incensa con gli ascolti televisivi e centinaia di migliaia “like” sui social network. Ma per quei “cretini”, la massa ignorante deve rimanere “popolo bue”, sguazzante nella propria asimmetria informativa, concetto tratto dal linguaggio economico. In breve, un risparmiatore preferisce ricorrere ai servizi di investimento offerti dalle banche, benché siano più costosi per un semplice motivo: tutti sono convinti che le banche possiedano informazioni migliori e soprattutto sconosciute ai clienti su un maggior numero di possibili investimenti. La minor conoscenza dei risparmiatori sui temi finanziari li induce quindi ad affidarsi agli istituti di credito e al loro supporto nell’elaborazione dei possibili modi di investire il proprio denaro. In sostanza per le banche tale asimmetria di conoscenze conviene, per cui: “Tu sei ignorante, meglio per me se lo rimani”.
Lo stesso meccanismo avviene nella cultura. L’intellighenzia italiana utilizza il sapere come strumento di distanza con la massa per consolidare il proprio ruolo d’élite.
Il compianto, (…sicuramente da me), Montanelli non ha avuto ragione nel definire in quel modo i portatori di cultura in questo Paese; quelli sono tutto fuorché “cretini…”