…Ma dove vanno i marinai con le loro giubbe bianche sempre in cerca di una rissa o di un bazar…
Dalla se ne intendeva, come del resto Hemingway. I marinai sono figure affascinanti se non per un unica loro nota attitudine inflazionata e quindi poco interessante: fanno promesse. L’origine dello stereotipo sembra addentrarsi nelle preghiere dirette al Buon Dio durante le burrasche, promettendo propositi virtuosi qualora fossero rimasti in vita, ma che alla fine della tempesta dimenticavano regolarmente.
Sembra che l’oceano delle elezioni del 4 marzo pulluli di imbarcazioni zeppe di marinai che, rivolti verso il cielo, promettono di tutto e fin qui nulla di strano sotto quello stesso cielo. Si sa, le elezioni da molte forze politiche sono considerate un momento di marketing. Chi è più bravo vende di più e fa più profitti. In una multinazionale di prodotti alimentari non ci sarebbe nulla da eccepire. Ma qui si parla di scegliere da chi si intende essere governati! La decisione di eleggere un amministratore di condominio è sempre combattuta. Tutti lo vogliono onesto. Certo se invece di versare i soldi alla ditta del riscaldamento il prescelto si va a fare un viaggio alle Maldive con i versamenti dei condomini sarà un bel problema in inverno per la salute di questi ultimi. Tuttavia, se l’amministratore eletto è il più onesto sulla piazza, (anche se non mi risulta ancora l’esistenza di una certificazione ISO che garantisca in anticipo la rettitudine degli individui), ma non è in grado di attuare un intervento di manutenzione straordinaria sul tetto del fabbricato, magari, il giorno di San Lorenzo, i condomini si ritroveranno presto a contare le stelle cadenti dal divano di casa propria. Non solo in politica, ma nella gestione di cose pubbliche e private, il rischio degli incapaci non è un’opinione, ma una sentenza. L’abbiamo già visto, in diversi Comuni laddove hanno già governato o governano uomini e donne senza competenze o esperienze gestionali di qualsiasi genere privi della più pallida idea di cosa voglia dire amministrare, facendosi forti solo di posizioni ideologiche quasi sempre lontane anni luce dal mondo reale.
Apro i quotidiani e leggo: “Aboliamo le tasse universitarie!” Lo sostengono gli stessi che inorridiscono di fronte a due paroline messe in sequenza: “settore privato”. Se qualcuno non sosterrà i costi dell’Università, chi pagherà l’istruzione, la formazione, la ricerca? Non è dato saperlo. Altri urlano: “Aboliamo l’obbligo vaccinale!” Non è chiaro in questo caso neanche il fine. Risparmio? I vaccini, come già detto in altri miei post, rappresentano una quota ridicola della spesa sanitaria. Diritti? Quali diritti ed, eventualmente di chi? Il mio diritto a non vaccinarmi porta solo a una probabilità maggiore di ammalarmi e di ledere al diritto di una comunità intera a pretendere il miglior livello di salute possibile. Quindi dichiarare una simile promessa, non chiarendone lo scopo (ammesso che ne esista qualcuno di diverso dal racimolare qualche voto), non ha nulla a che fare con il dimostrare di essere capaci di governare. Qualcun altro ha dichiarato poco tempo fa: “Fuori dall’euro!” per poi, poco dopo, fare dietrofront. Il problema non è la fluttuazione ideologica dei proclami, ma la surrealtà di un dibattito monetario che, per motivi bancari, economici, industriali e commerciali, non è un dibattito. Nessuno, eletto a capo di un governo in questo Paese, può realisticamente sbarazzarsi della moneta unica come nella miglior tradizione sudamericana, innalzando l’inflazione a livelli stratosferici e sperando in un’invasione di investitori stranieri. Noi, che piaccia o no, siamo una nazione europea e ciò, che piaccia o no, condiziona le nostre scelte economiche e monetarie del presente e del futuro. Chi prende il Regno Unito a modello forse non conosce la storia e la posizione degli inglesi rispetto alle economie di altri Paesi satelliti alla terra di Albione. Ma qualcuno tra coloro che, come i bambini in gara su chi fa la pipì più lunga, spara suggestioni surreali non ha ancora chiarito concretamente come stimolare nel Paese lo sviluppo, l’innovazione laddove siamo bravi a fare qualcosa. Tra questi piazzisti della promessa qualcuno ci ha mai comunicato come migliorare su ciò in cui già eccelliamo? Non serve inventarsi per forza cose nuove, ma saper fare ciò che una parolaccia del gergo economico come benchmarking suggerisce: copiare i migliori, e se quelli siamo noi, saper ripartire dalla nostra esperienza virtuosa e migliorarla. Ebbene, qualcosa di buono è stato fatto e qualcuno l’ha fatto! Qualcuno che, senza grandi proclami, ha già dimostrato di lavorare e produrre cambiamenti nel proprio settore, governando con il buon senso della responsabilità tipica delle persone che mettono la propria coscienza in prima linea. Non si tratta di urlatori professionisti, ma di donne e uomini che, chiamati a svolgere il proprio dovere, lo hanno fatto con discrezione e professionalità. È inutile ricercare la garanzia della buona governabilità attraverso slogan e impegni astratti. L’unica garanzia realistica di governabilità buona è data da chi ha già dimostrato di saper fare ciò che gli è stato richiesto. Le promesse, soprattutto se fanno rima con scommesse, sono inutili e dopo tanti anni di campagne a base di propositi, neanche tanto buoni, tutti noi che votiamo dovremmo ormai essere immunizzati al voto basato sul niente, pur se pericolosamente suggestivo. In tal senso è opportuno, come nel resto dell’Europa, rilevare che, seppur in democrazia il confronto dovrebbe essere tra le idee, governare (e saperlo fare) è tutt’altra storia. Le grandi coalizioni europee si moltiplicano ovunque proprio in virtù di interessi maggiori: ad esempio la stabilità di governo rispetto al salto nel buio della semplice protesta o della peggior retorica populista che nasconde il vuoto pneumatico dell’incapacità ad affrontare i problemi reali. Forse, a proposito di marinai e delle loro promesse versus chi garantisce con umiltà impegno, cultura e competenza perché non ha bisogno d’altro in quanto nel recente passato ha già mantenuto i propri impegni. A proposito di marinai e delle loro promesse, chi ha già mantenuto i propri impegni, sottovoce e con rigore, dovrà sempre ricordarsi con orgoglio le parole proprio di un marinaio: Santiago da “Il vecchio e il mare”
“È stupido non sperare, pensò. E credo che sia peccato.”