Sono le undici di sera e appena rincasato con Mr. Green dalla passeggiatina butto lo sguardo alla TV accesa. Su Mediaset stanno commentando la partita di Champions appena terminata. È un processo ai torti arbitrali subiti dal Bayern Monaco contro il Real Madrid. Sul banco degli imputati, esposto al linciaggio giornalistico, la squadra spagnola rea, qualche settimana fa, di aver usufruito di un rigore contestato ai danni della Juve. L’atmosfera in studio è quella da sovranismo nazionalista lepeniano. A proposito di sovranisti evito di citare Salvini che cerca disperatamente di sdoganare la Lega dal nazionalismo padano. Comunque, tornando al tema calcistico, l’ambiente in studio sembra quello dei girotondi anti berlusconiani; indignazione a tutto campo! Tutto sembra mirato indirettamente a giustificare l’uscita dei bianconeri dall’Europa che conta a causa una congiura arbitrale. Peccato che dopo un intero campionato di serie A nel quale gli arbitri hanno utilizzato un metro di valutazione per diciannove squadre e, diciamo, altri parametri per un’altra, nessuno dei presenti in studio abbia sino a oggi pensato di imbastire processi analoghi. Tuttavia, ciò che oggi mi ha lasciato uno strano sapore amarostico in bocca, dopo le ultime giornate calcistiche, stranamente non è ciò di cui ho appena scritto. Qualcuno, a me molto caro, mi ha confidato: «Ma dopo Inter-Juve e dopo la debacle del Napoli a Firenze, alla fine di un campionato iniziato e terminato in questo modo, come spiego a mio figlio dodicenne, acceso tifoso partenopeo, ciò che ha visto? Lui pensava che i più forti in campo vincessero semplicemente perché più forti…». Ho pensato, dopo quella chiacchierata con il mio amico, di essere fortunato ad avere un figlio di ventiquattro anni che non ha più bisogno di spiegazioni. Poi ho anche pensato che forse il mio amico non dovrebbe preoccuparsi più di tanto. Già, perché a farlo dovrebbero essere tutti i genitori di quei dodicenni che palpitano per la Juve. Quella miriade di ragazzini in maglia bianconera che ai giardini giocano tra gli alberi immaginando di essere Dybala, Mandzukic, Buffon. Quelli che allo Juventus Stadium urlano di gioia all’ingresso delle squadre come in un grande villaggio turistico alla sigla del gioco aperitivo. Tutti quei ragazzini che pensano sia normale vincere il campionato di serie A per sette anni di seguito con quindici o venti punti dalla seconda e non rammentano l’ultima sconfitta della propria squadra del cuore perché erano troppo piccoli per ricordarselo. Per loro vincere è la normalità, solo perché sono puri come lo si può essere a quell’età. È logico che nessuno di essi si chieda come fa una squadra a trionfare solo e sempre in Italia e non al di fuori dei confini del campionato. Se può esistere una proporzionalità tra campionati nazionali vinti e trionfi in Champions emerge questo singolare dato:
Real Madrid: 33 campionati spagnoli vinti e 12 Coppe dei Campioni/Champions.
Barcellona: 25 campionati spagnoli e 5 Coppe dei Campioni/Champions.
Bayern Monaco: 28 campionati tedeschi e 5 Coppe dei Campioni/Champions.
Liverpool: 18 campionati inglesi e 5 Coppe dei Campioni/Champions.
Ajax: 33 campionati olandesi e 4 Coppe dei Campioni/Champions.
Milan: 18 campionati di serie A e 7 Coppe dei Campioni/Champions.
Inter: 18 campionati di serie A e 3 Coppe dei Campioni/Champions.
La Juventus ha vinto 33 campionati in Italia, ma lo stesso numero di Coppe dei Campioni/Champions del Nottingham Forest FC squadra stabilmente in seconda divisione inglese, oggi diciassettesima, un tempo discreta, ma che ai più giovani può ricordare solo il nome lo sceriffo del cartone animato di Robin Hood.
Da chi vince ben 33 scudetti come il Real Madrid, il Barcellona o il Bayern ci si aspetterebbe almeno il triplo delle Coppe dei Campioni/Champions vinte dalla Juve, senza dimenticare quella drammatica, che non andrebbe neanche considerata, dell’Haysel. Pur tuttavia i bianconeri vincono in Italia come se tutte le altre squadre fossero composte da allievi di società dilettantistiche e la gioia cieca dei tifosi adulti, come le tre scimmiette, non vede, non sente e non parla. I figli di questi ultimi pensano che, come per le imprese dell’invincibile Juve, secondo cui vincere non è importante, ma l’unica cosa che conta, la vita fuori da villaggio turistico dello Juventus stadium sia la stessa. Non esiste alternativa a vincere! D’altronde i loro beniamini in Italia lo fanno ogni domenica e se ciò non avviene in Europa sarà sempre per colpa di qualche arbitro con la pompa cardiaca sostituita con una benna dei rifiuti. Ma quando un bulletto li piglierà di mira, un professore gli appiopperà un quattro non meritato o il compagno di squadra meno bravo a Judo sarà scelto per la gara, questi ragazzini convinti che tutto sia come nel mondo Juve, vincente e basta, come reagiranno alla realtà? Già, perché quest’ultima è tremendamente ingiusta e mediamente la meglio ce l’ha chi è più furbo e non più bravo, esattamente come nel campionato di serie A, quello dove arbitri, giornalisti, squadre che si scansano e tifosi adulti non vedono, non sentono e non parlano. Forse richiamerò il mio amico e gli dirò che non dovrà preoccuparsi di cosa spiegare a suo figlio, tifoso azzurro, di fronte alle ingiustizie del campionato, perché in fin dei conti a dodici anni è sempre meglio godersi le illusioni finché c’è tempo.