“Noi non misuriamo il tempo allo stesso modo” disse Anthony Hopkins nei panni del cannibale Hannibal Lecter, internato in un carcere di massima sicurezza, al suo interlocutore nel film Il silenzio degli innocenti.
Ieri vagavo su You tube senza una meta precisa. Mi sono imbattuto in un video di una vecchia sigla di un programma per ragazzi a noi, nati all’inizio dei 60’, arcinoto: UFO.
Per i lettori più giovani, si trattava di una serie di telefilm di fantascienza sulla guerra in difesa della terra tra noi umani e alieni cattivi che volevano invaderci a tutti i costi. Nella sequenza della sigla comparivano in rapida sequenza flash che mostravano apparecchi intercettori contro dischi volanti, una base lunare di avvistamento con astronaute tutte in divisa e acconciatura a caschetto davanti ai monitor di controllo e altre scene sull’organizzazione segreta SHADO che comandava le operazioni nello spazio. Tra una sequenza e l’altra compariva un numero, l’anno del futuro nel quale gli autori del telefilm ritennero di ambientare la narrazione: 1980. Quei telefilm sono stati ideati nel 69’ e il futuro che si immaginava era quello di poco più di vent’anni dopo. Oggi di fantascientifica appare solo quella proiezione temporale pensata dall’autore. Nel 1980, invece di veder sfrecciare nei cieli intercettori ultrasonici che pattugliavano il cielo e oggetti non identificati tra basi lunari e atmosfera terrestre, siamo stati testimoni di ben altro. In quel “futuro” reale di trent’anni fa il regime sovietico esiliava il fisico Sacharov a Gorkij, Fidel Castro, dopo anni di chiusura delle frontiere, permetteva a 125.000 cubani di abbandonare l’isola dal porto di Mariel. Mentre in Italia un commando terroristico brigatista uccideva il giornalista del Corriere della Sera Walter Tobagi e a Roma Mario Amato, sostituto procuratore della repubblica, veniva assassinato dai neofascisti dei NAR mentre attendeva l’autobus. Sempre a Roma Vittorio Bachelet, vicepresidente del CSM e docente universitario, veniva trucidato dalle Brigate Rosse a Roma all’interno dell’università e a Bologna una bomba esplodeva nella sala d’attesa della stazione causando 85 morti e 203 feriti. In quell’anno di cose dentro i confini dell’atmosfera terrestre se ne sono viste anche di più di quanto rammentato sopra. Il punto è che, così come narrato da Umberto Eco in In nome della rosa, edito proprio nel 1980, una storia tinta di giallo in un lontano medioevo diventò a tutti gli effetti contemporanea. Un po’ come se il futuro si ribellasse e decidesse di rappresentare non più il nuovo, ma solo un passato dalle tinte fosche, riesumato da un sepolcro eroso dai secoli.
Oggi in molti, compresi alcuni miei amici su fb, amano soprassedere se non giustificare le gesta di pseudo antifascisti di strada che ultimamente hanno mostrato a Torino le spranghe prendendosela con le natiche di un agente di polizia dopo l’esplosione di una bomba carta. Le ragioni dei miei conoscenti a difesa di quei violenti erano i morti ammazzati di sinistra del passato (…come se ai morti e ai loro congiunti interessasse sapere se chi li ha uccisi fosse di destra, sinistra, romanista, milanista, indonesiano, russo o sudafricano). Ho risposto a quegli amici di fb che se dovessimo rievocare i morti ammazzati nella storia per tutti i motivi del mondo parlare del presente e del futuro sarebbe del tutto inutile. Ciò non significa dimenticare, ma neanche sputare su tutti i morti ammazzati, anche nel 1980, di cui ci si è scordato troppo presto. Quelli non vengono rievocati oggi solo in polverose manifestazioni istituzionali autoreferenziali, ma anche con i toni ironici di coloro che, per motivi propri e non certo collettivi, non hanno esitato ad ammazzarli a freddo, spesso sparandogli alle spalle, o innescando bombe nelle stazioni ferroviarie. Quelle vittime oggi dileggiate con offese ai loro parenti erano uomini e donne disarmate, ignare di essere oggetto di un’esecuzione sommaria. I toni dalla macabra ironia di quegli “eroi” comizianti in giro per il Paese, pare non indignino quanto le colonne in marmo stile ventennio degli edifici dell’EUR o le spiagge tappezzate di frasi apodittiche da un bagnino nostalgico del fez. Non si è visto alcun corteo di denuncia, non un grido di allarme contro “l’attentato alla democrazia”. Le dichiarazioni della terrorista Balzerani sul presunto vittimismo mestierante dei parenti di quei morti sono passate quasi inosservate. Se al suo posto ci fossero stati a pontificare Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, i due terroristi neri dei NAR, sul presunto vittimismo dei parenti degli assassinati proprio da loro due o sulle ragioni storico politiche del terrorismo di destra adesso avremmo le strade invase da migliaia di manifestanti antifascisti guidati da maestre elementari con l’aspirazione della guerriglia partigiana a difesa della democrazia e centinaia di commenti indignati su fb, anche da parte di quei miei amici di cui sopra.
Le dichiarazioni della Balzerani riecheggiano gli striscioni psicotici degli ultras romanisti allo stadio diretti contro la madre di Ciro Esposito, il tifoso napoletano ammazzato a Roma: “Che cosa triste; lucri sul funerale con libri e interviste…”.
In termini di vigliaccheria non c’è alcuna differenza tra le posizioni di quelle persone allo stadio Olimpico, nascoste dietro quello striscione e la stessa Balzerani davanti a una bandiera rossa con scritto “Viva Lenin”, accolta da un centro sociale gremito di ragazzini dei quali lei potrebbe essere la nonna, per una dotta conferenza sul tema degli anni di piombo. Quegli ultras della curva sud e la Balzerani sono tutti riuniti in un unico concetto: il disprezzo incondizionato per chi non la pensa nello stessa maniera, per chi ha sofferto e soffre e soprattutto entrambi misurano il tempo in modo diverso dagli altri esattamente come Hannibal Lecter. Ma questo non sa di fascismo? E allora chi sarebbero davvero i veri antifascisti: i carnefici urlanti o le vittime silenziose che di mestiere fanno solo quelli che soffrono?