La nemesi della saturazione si è abbattuta implacabile sulla De Gregorio. Concita, nel programma de La7 che conduce in compagnia di David Parenzo si è dichiarata satura dell’accezione “radical chic” usata, totalmente a ragione, da Federico Rampini a proposito delle scelte dissennate di un ecologismo ottuso che sta portando alla fame intere popolazioni del mondo.
La giornalista, con atteggiamento infastidito, non preoccupandosi minimamente dei contenuti di ciò che sosteneva il suo collega, si è attardata sulla definizione usata da quest’ultimo che denunciava le scelte ideologiche, totalmente dissociate dalla realtà, che stanno impoverendo intere comunità del pianeta, già provate dalla miseria. Alle incalzanti considerazioni di Rampini sull’assurdità di tali decisioni, la De Gregorio insisteva, visibilmente contrariata, sulla propria “saturazione”per la definizione “radical chic”, evidentemente sentendosi lei stessa parte in causa del modo di dire. Bisogna registrare che anche nei modi di definire certi atteggiamenti siamo pervasi e saturi in egual modo da un doppiopesismo invasivo: c’è chi si infastidisce se accostato al modo di dire “radical chic”, ma continua imperterrito a definire chi non di sinistra o, peggio, non “radical chic”, fascista, secondo il luogocomunismo più stantio, oggi come ieri, sempre di moda. Basta assistere alla patetica campagna mediatica capitanata da Repubblica sulla solita e supposta identità fascista di Giorgia Meloni, dalla “M”, definita mussoliniana del cognome, ai suoi presunti miti missini degli anni 70. Per esempio, un elemento di novità, che porterebbe un po’ di freschezza nei dibattiti politici, potrebbe essere commentare le seppur rare ipotesi di soluzioni ai problemi, oltre a dissertare su definizioni svuotate da contenuti. Tuttavia, è sempre preferibile buttarsi sull’umore degli slogan che sulle proposte di risoluzione dei temi: fa fine (…“chic” con o senza radical) e non impegna…