Maestro mio, or mi dì anche: questa fortuna di che tu mi tocche, che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?
Dante nel settimo canto dell’Inferno chiede al Maestro Virgilio il significato di “fortuna”. Quest’ultimo gli risponde che Dio ha creato i cieli e ha assegnato ad essi, in modo uniforme, le intelligenze perché lo illuminassero. Tuttavia, ha incaricato una sorta di amministratrice e guida (la fortuna) per governare il mondo e per trasferire i beni ingannevoli da una parte all’altra senza che gli uomini si potessero opporre. È proprio grazie a questa forza superiore, secondo Dante, che una nazione o il suo leader primeggiano sugli altri. Nessuno può contrastare quella forza impedendole di attuare la sua podestà, essa agisce velocemente e secondo necessità e per questo che molti hanno una sorte assai instabile.
Il problema è che la fortuna dantesca in alcuni casi ricorrenti muta al mutare del fortunato di fronte a circostanze uguali. Un ex Presidente americano repubblicano, pur con i propri limiti comunicativi e di immagine, per un intero mandato, a torto o a ragione, è stato fatto costantemente oggetto di accuse di imperialismo e xenofobia. Certo, faccio fatica a pensare che i suoi sostenitori siano tutti come il tizio vestito da pellerossa all’assalto del Palazzo del Congresso, ma di fatto quel Presidente fu votato dalla maggioranza, anche se risicata, degli americani. In un paese che ha il vezzo di aver inventato la democrazia, (…come se i greci antichi fossero ciarpame da vendere su una bancarella di magliette di Manhattan), chi vince le elezioni governa ed è oggetto di critiche da parte delle opposizioni. Ma quando le medesime opposizioni diventano maggioranza e sono chiamate a governare, le critiche mosse qualche tempo prima, di fronte a dichiarazioni e fatti del presente analoghi a quelli del passato, si dissolvono come d’incanto. Dichiarare che il Presidente di un’altro Paese (peraltro la seconda potenza mondiale) sia un assassino, pur se per motivi geopolitici (…la Libia c’entra qualcosa?) è qualcosa che ogni liberal americano che si rispetti, avrebbe sei mesi fa, definito come una bestemmia di un Presidente rozzo e incosciente. Oggi nessuno si indigna. Non parliamo delle prefiche, (quelle con i capelli sciolti in segno di lutto che cantavano lamenti funebri e innalzavano lodi al morto, a volte graffiandosi la faccia e strappandosi ciocche di capelli) che si indignavano a comando in altri paesi, soprattutto europei, dopo le “malefatte” dell’ex presidente USA repubblicano. Oggi, dopo le belligeranti dichiarazioni dell’attuale Presidente democratico degli Stati Uniti, contro Vladimir Putin, tacciono rintanate nelle sedi dei partiti più radical chic della Roma di un certo livello.
Nessun lamento, nessuna ciocca abbandonata sul selciato, solo un silenzio assordante. L’ipocrisia è un segno connaturato al processo politico, ma al di fuori di esso si chiama malafede, disonestà intellettuale, doppiopesismo, ecc.
Forse la cd “fortuna” di Dante visto che staziona spesso dalle parti di Washington a volte è distratta dall’imponenza del Campidoglio o forse aiuta, come sempre, gli audaci.
È vero sinistra italiana?