Fabio Fazio e il sorrisino tatuato

La mia cena stasera è decisamente poco eccitante. Cerco disperatamente di consumare i chili post lockdown che gravano su di me e non riesco a bruciare con la stessa velocità di un tempo. Il Napoli ha appena vinto e il solito disagio della domenica sera si è risolto felicemente. Mentre me ne sto seduto a tavola un rumore mi accompagna come un sibilo fastidioso. Riconosco nel brusio di fondo la frase: “La democrazia non si esporta con le armi!” Alzo lo sguardo e compare il faccione di Fabio Fazio con in suo solito sorrisino ormai tatuato sulla faccia come un simbolo egizio. Sta intervistando Lilli Gruber e il tema sono le donne in Afghanistan. L’estasi stuporosa dei presenti in studio è come quella di chi ha appena scoperto il Sacro Graal giornalistico. Una serie di luogocomuni(smi) a ripetizione tipo la domanda di Fazio a una corrispondente di guerra appena arrivata dall’Afghanistan: “Ma secondo te le notizie che vengono da laggiù sono attendibili?” Il quesito è così arguto e penetrante che è inutile riportare la risposta, ma d’un tratto riecheggia di nuovo la frase che mi aveva smosso dal letargo domenicale: “La democrazia non si esporta con le armi!”. È lo stesso Fazio che in un duello individuale a suon di considerazioni poste a sé medesimo si interroga per poi rispondersi da solo. Eh già, non si può… Rimango in attesa di una auto contro deduzione, sperando in una sua ipotesi di soluzione o almeno in una speranza utopica, alternativa, ma tutto si risolve con un “D’altronde è un tema enorme…”. Mi ha ricordato Nanni Moretti che chiede alla ragazza in Ecce BomboChe lavoro fai? – Be’, mi interesso di molte cose, cinema , teatro, fotografia, musica, leggo. – Concretamente? – Non so, che cosa vuoi dire. – Che lavoro fai? – Nulla di preciso. – Be’, come campi? – Te l’ho detto. Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose…

Fazio galleggia volontariamente nell’estetica dello slogan perché è l’unico espediente per evitare di esprimere risposte a ciò che lui denuncia nel suo programma. A Che tempo che fa (…e non solo in quel programma) sembra che in Afghanistan la condizione femminile sia diventata drammatica solo da poco, dopo l’assurdo (almeno per le modalità) ritiro degli americani. Tutto appare come se le donne negli ultimi vent’anni di occupazione, avessero vissuto godendo di totale libertà e benessere, come se l’Afghanistan fosse l’unico paese musulmano al mondo dove la donna solo da ora non conta nulla, come se i benpensanti e stupiti telespettatori del suo programma ignorassero che nella stragrande maggioranza di quei paesi, le donne non hanno mai avuto gli stessi diritti degli uomini, i gay sono da sempre perseguitati, i bambini fatti oggetto di proselitismo medioevale. Tuttavia, in questi anni mai un cenno a quel mondo o una reprimenda a suon di sorrisini nel suo programma.

Come scrisse di un programma Tv il giornalista/scrittore Aldo Grasso, “Il niente si genera e moltiplica per partenogenesi…

Author: admin

Michele Morandi nasce a Napoli nel 1964. Dal 1990 vive a Torino dove svolge la professione di Medico Igienista. Il suo indissolubile legame con Napoli, così come la cultura degli anni ’70, hanno fortemente influenzato la sua azione creativa. La trasposizione di immagini e vissuti del passato sono sempre diretti a un’interpretazione della realtà corrente. Nel 2013 pubblica per la Hever editrice L’uomo che non esiste. Il volume è stato presentato a Napoli presso la Saletta Rossa della Libreria Guida e a Torino al Salone Internazionale del Libro di quell’anno. Nel 2015 pubblica sempre per la Hever editrice Il teorema della memoria, presentato a Torino in anteprima presso il Salone Internazionale del Libro e a Napoli presso il Palazzo delle Arti. Nel 2019 pubblica per L’Erudita del Gruppo Giulio Perrone Editore Segui la marea. E’ autore del blog Il buco nelle nuvole, una pagina che oltrepassa la cortina nebbiosa del politically correct e del pensiero unico oggi imperante nel giornalismo e nella politica.

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