Matteo Salvini, tra tutte le possibili critiche politiche che si possono muovergli, un grande merito l’ha avuto. Non c’entrano la politica, le idee, l’azione di governo che ha intrapreso quando era ministro. C’entra la visibilità che ha dato all’ipocrisia che avvolge da sempre questo paese, diradandone la spessa coltre. È stato accusato di essere il maggior leader populista in circolazione. Vero, ma da chi vengono queste accuse. Tralasciando l’origine storica socialista russa in epoca zarista del termine populismo, il rapporto diretto tra la politica e le masse è sempre stato insito nell’azione dei leader comunisti. Chi si è mai preoccupato di definire populista il PCI negli anni settanta a capo quest’ultimo delle grandi manifestazioni di massa per ogni motivo, plausibile e non, che potesse servire alla stessa autoreferenzialità del partito? Oggi, parlando di gossip, se Salvini da ministro canta ad agosto in ferie al karaoke nel Papeete tutto il paese si mobilita indignandosi, ma se la premier finlandese socialista balla in una discoteca, avendone il sacrosanto diritto come chiunque altro e viene presa di mira, tutto il mondo solidarizza con lei. Se un intellettuale come Camilleri buonanima, non un energumeno qualunque da tastiera, dà a Salvini del cretino, fannullone, sciacallo, fascista o il quotidiano Repubblica alla Meloni “…versione burina del Ku Klux Klan”, “…una razzista-nazista sia pure de’ noantri” nessuno si stupisce. Immaginiamo se pensatori/giornalisti di analoga portata, ma di segno opposto avessero definito nello stesso modo un Letta, uno Zingaretti o un qualunque altro leader di sinistra non gradito cosa sarebbe accaduto. Avremmo avuto una sollevazione di massa con l’aggiunta di un anatema presidenziale direttamente dal Quirinale.
D’altronde, in campagna elettorale, a proposito di ipocrisia, nessuno oltre a questioni “vitali” come lo ius soli, la legge Zan e gli alberi piantati intorno alle città, ci sta spiegando come affrontare la crisi energetica imminente che, se non presa rapidamente in mano, metterà in ginocchio tutti i sistemi produttivi del paese. Preferiamo trastullarci con le tasse di successione o decidere se è finalmente giunto il momento di smettere di dipendere energeticamente da qualcuno? A parte quelli che rifiutano pure le candele accese, perché la cera rappresenta lo sfruttamento plutocratico delle api, qualcuno in campagna elettorale sarebbe disponibile a chiarire con quale energia vivremo di qui a poco, quanto costerà e come affronteremo un’imprescindibile transizione?
Grazie e a buon rendere…