Cari Feltri e Facci…

Come al solito, leggo, con costante e colpevole ritardo, i titoloni in prima pagina, oggetto di polemiche nazionali e mi imbatto nei vostri scritti sul “Piagnisteo napoletano”: http://www.liberoquotidiano.it/news/italia/12319889/piagnisteo-napoletano-ecco-l-articolo-di-libero-sotto-accusa.html e http://www.liberoquotidiano.it/news/italia/12320924/facci-e-il-piagnisteo-napolitano—ecco-perche-ve-lo-meritate–.html

Cari Feltri e Facci, mi permetto una forma in seconda persona, più confidenziale, per la stima che ho sempre nutrito verso di voi. Sono un vostro lettore da tempo e non vedo motivi per non continuare a esserlo. Da ottimi e navigati giornalisti quali siete vi pongo però alcune domande che mi tormentano: con i vostri ultimi articoli sui napoletani siete proprio certi di rivolgervi a tutti, anche ai lettori che cercano l’interpretazione della realtà cercando di non farsi sopraffare dalla faziosità di un tifo da curva? La cronaca degli avvenimenti descritti, di per sé, appare nelle vostre colonne come una sentenza inappellabile, ma siamo sicuri che i vostri commenti alla cronaca dei fatti siano del tutto coerenti con un minimo di terzismo auspicabile in una stampa con un buon livello di approfondimento, degno anche di lettori non ultras?

I temi dell’assenteismo, del malaffare politico/amministrativo di bottega, della protesta insensata contro diritti e doveri prima acquisiti, poi stuprati da alcuni dipendenti pubblici, dello smaltimento urbano di rifiuti, del vittimismo calcistico e governativo, vengono da voi liquidati con descrizioni suggestive e populistiche sull’indole del napoletano, formato cartolina, evidentemente ottime per ogni stagione giornalistica: “Vide Napule e po muore”, “chiagn’ e futte”, “i’ songo l’ unico fesso?” (…da napoletano vi perdono la sintassi dialettale…), “tammurriata d’illegalità“.

Ma siamo sicuri che dentro tutto questo esista una notizia o che proprio tutto questo lo sia davvero? Lo afferma anche lei nell’occhiello caro Feltri: “Il solito vecchio vizio“. Quest’ultimo, che Lei rivolge ai napoletani, potrebbe essere rivolto con un forte significato riflessivo sul giornalismo nostrano. Non è certo la prima volta (e non sarà certo l’ultima) che frotte di cronisti si sono affannati a raccontare di come Napoli sia una città, proprio perché abitata dai napoletani, incivile, descrivendo altri luoghi dove la civiltà altresì risplende, senza però riuscire a illuminare il buio profondo della metropoli campana e di tutti gli altri luoghi dove, a Suo parere e di tanti altri compresi i sondaggi citati da Facci, la suburra regna sovrana. Eppure la solita immagine scalcinata e macchiettistica delle storture partenopee continua a spopolare sulle colonne dei quotidiani. Nell’affermare ciò, me ne guardo bene dal partecipare al suo “Piagnisteo napoletano“, anzi in tal senso vi comunico che mi sento totalmente agnostico, più per noia che altro. Il Suo articolo e il rincaro della dose da parte del Suo valido collega Facci, è uno come tanti altri, già letti e riletti. Non vedo nulla di nuovo sotto il cielo, come dire: “Il solito vecchio vizio” . Tuttavia, mi scusi se insisto, al di là del titolone commercial/editoriale in prima pagina, dov’è la notizia? Napoli non è Milano o Bergamo? Beh, la geografia certo non mente, tuttavia cercare nel 2017 ancora di far passare i suddetti scandali insiti in esclusiva nel dna partenopeo versus quello di abitanti di altri luoghi, attaccandosi alle dominazioni storiche dalle quali il cittadino di Napoli, a Vs parere non sembra mai essersi ripreso, appare anacronistico e sa di stantio. Provo però a dare una mia personale interpretazione alla Vostra strombazzata giornalistica sugli orrori da Voi descritti come tipicamente napoletani.

Gonfiare ciò che eticamente fa ribrezzo attraverso la smaccata teatralità napoletana è un comodo tramite cronistico da sempre; giornalisticamente, un tentativo di furto verso un milanese a Macerata è un tentativo di furto, a Napoli è un’aggressione alla civiltà. Un calciatore derubato del Rolex, a Torino è una rapina, a Napoli è un tentativo di estorsione ramificato nelle trame del crimine organizzato, (…anche se era semplicemente una rapina). Altro motivo, a mio parere, per tirare in ballo in una prima pagina le ombre napoletane è spesso la scarsezza di altri temi. In assenza di contenuti, nelle afose giornate d’agosto, quando la politica e la cronaca non offrono grandi spunti, si usa il buon vecchio caso di malasanità: la vecchietta abbandonata sulla carrozzina in un pronto soccorso, la spazzatura con tanto di ratti nei sotterranei di qualche ospedale, la morte improvvisa e imprevista di un novantottenne cardiopatico a causa del ritardo del 118. La malasanità è il classico tema estivo sempre valido per riempire di attenzione le colonne di giornali rimasti a secco di argomenti. Certo, siamo a marzo inoltrato e il fattaccio del Loreto Mare è di qualche giorno fa, ma è il taglio moraleggiante più sulla cittadinanza del fatto, che sul fatto in sé, a fare tanto estate agostana, in un momento giornalisticamente da noia e mancanza di stimoli, quanto lo è la oramai Sua nota “patata bollente” che personalmente non solo non mi ha indignato, ma mi ha lasciato indifferente, quanto il luogocomunismo del Suo articolo sui napoletani.

Quanto sopra, ribadisco, non è una lamentela, ma una banalità oggettiva della quale mi faccio volentieri carico senza ipocrisia. Così come, caro Facci, è banale, perché populistico, spiegare ai napoletani, (…quelli che non avrebbero ben capito l’articolo del Suo direttore) il: “…perché ve lo meritate“. Certo, se la lezione è diretta a: “…quel napoletano medio che rischia di essere perpetuamente «mariuolo dentro» e vittimista strategico.”, il rischio però è quello di mirare a un obiettivo e colpirne un altro, anzi svariati milioni in questo Paese, nella miglior definizione dell’eterogenesi dei fini, tipica di un populismo volutamente superficiale. Siamo proprio certi che quei vizi da voi descritti, a parte la frequenza statistica, senz’altro a sfavore delle mie ragioni, siano, come i cibi DOP, tipici di Napoli come lo è anche la pizza napoletana, in aggiunta a ‘o sole, ‘o mare e ‘o mandolino?

Perdonatemi se torno ossessivamente alla mia domanda: dov’è la notizia? Forse è la profusa lamentela per i rigori non dati e quelli subiti a essere notizia. Strano, quando si gioca contro la Juve, qualunque squadra italiana si lamenta a torto o ragione, senza tutto il clamore indignato suscitato dalle lamentele del tifo e dalla società azzurra. In questo, a Napoli siamo straordinari, almeno mediaticamente: protestiamo e tutti ne parlano! Comprendo le ragioni di una testata sportiva come Tuttosport, che ha scelto di essere, come lo era la Pravda nell’URSS: organo di partito, quello bianconero. Ma i vostri articoli su Libero al di là degli ortaggi presenti negli ultimi titoli di prima pagina e dello stile esplicito da tabloid inglese tipico della testata, mi hanno spesso appassionato per originalità.

Ahimè, rimango nel tremendo dubbio di non aver compreso l’essenza delle vostre invettive, o, nel dubbio peggiore, che si tratti di un’essenza iraconda, già assaporata però qualche milione di volte e dalla quale ormai siamo vaccinati.

Ah dimenticavo, sono un napoletano che vive a Torino da ventisette anni…

Author: admin

Michele Morandi nasce a Napoli nel 1964. Dal 1990 vive a Torino dove svolge la professione di Medico Igienista. Il suo indissolubile legame con Napoli, così come la cultura degli anni ’70, hanno fortemente influenzato la sua azione creativa. La trasposizione di immagini e vissuti del passato sono sempre diretti a un’interpretazione della realtà corrente. Nel 2013 pubblica per la Hever editrice L’uomo che non esiste. Il volume è stato presentato a Napoli presso la Saletta Rossa della Libreria Guida e a Torino al Salone Internazionale del Libro di quell’anno. Nel 2015 pubblica sempre per la Hever editrice Il teorema della memoria, presentato a Torino in anteprima presso il Salone Internazionale del Libro e a Napoli presso il Palazzo delle Arti. Nel 2019 pubblica per L’Erudita del Gruppo Giulio Perrone Editore Segui la marea. E’ autore del blog Il buco nelle nuvole, una pagina che oltrepassa la cortina nebbiosa del politically correct e del pensiero unico oggi imperante nel giornalismo e nella politica.