L’insindacabile giudizio di chi si sente vittima
Grazie a Beppe Severgnini oggi sappiamo che se un epiteto è da considerarsi razzista, oppure no, lo decide il destinatario del presunto epiteto.
http://italians.corriere.it/2019/09/09/cose-razzismo-da-stadio-decidono-i-giocatori-2/?refresh_ce-cp
Se una violenza sessuale è tale lo stabilirebbe, secondo Severgnini, la vittima anche con una carezza non gradita, “Discorso chiuso.” così come scrive testualmente il famoso giornalista sul Corrierone. L’oggetto del contendere è la lettera (…ammesso che tale possa chiamarsi una simile accozzaglia di stupidaggini) diffusa dalla curva ultras interista dove menti contorte spiegano che i buuu diretti contro Lukaku da parte dei loro degni colleghi cagliaritani in realtà non sarebbero cori razzisti, ma incitamenti sportivamente intimidatori verso l’avversario. In tal senso è inutile commentare tale idiozia, ma mi incuriosiscono le conseguenze del modo di pensare di Severgnini. Lascerei da parte (…e a qualche bravo psicanalista) chi è veramente ossessionato da razze, etnie, provenienze geografiche e appartenenze varie e cercherei di capire dove potrebbe portare il ragionamento dell’enfant prodige del Corriere della sera. Se ogni destinatario di ciò che considera personalmente un epiteto razzista o una violenza di genere potesse soggettivamente agire di conseguenza, stabilendo cos’è razzismo o violenza sessuale, ognuno sarebbe arbitro inoppugnabile della sorte morale e finanche giuridica di chiunque altro, indipendentemente dalle sue responsabilità reali e senza alcun contraddittorio. È ovvio che una vittima ha tutto il diritto personale di considerare tale il suo presunto carnefice, ma se tale valutazione debba poi diventare automaticamente e in modo acritico quella etica di tutto l’universo mondo o addirittura quella reale di un codice penale, mediante il “giudizio universale abbreviato” proposto da Severgnini, non potrei mai essere d’accordo. Sono un nigeriano di etnia Igbo e un mio connazionale, Igbo come me, per strada mi chiama: “Yoruba!” (etnia contrapposta). Mi offendo mortalmente sentendomi discriminato. In base al mio disappunto e al potere che mi viene concesso da Severgnini lo denuncio per le offese a sfondo etnico nei miei confronti. È la mia sola sensibilità che decide cosa è molesto e cosa no? Se mando un bacio da lontano o accarezzo la mia fidanzata e lei ritiene quel gesto, fatto mille altre volte, in quel preciso istante una coercizione, può quest’ultima comodamente accusarmi di violenza sessuale, moralmente e anche fattivamente? In sostanza a chiunque verrebbe fornita una comoda legge del taglione secondo la quale si potrebbe, all’estremo, decidere, secondo il proprio intangibile umore, di accusare di razzismo o di violenza di genere chiunque altro. Mi sembra superfluo non includere in questo mio ragionamento chi imita scimmie sugli spalti in direzione di calciatori africani o aggredisce donne in giro o nelle mura di casa, ma questi modi moralmente retorici e falsamente progressisti di affrontare temi complessi sono avvilenti.
Chi decide cosa è razzista?
Nessuno può decidere per editto di stampa chi possa giudicare cosa sia razzista e cosa non lo sia, semplicemente perché è impossibile stabilirlo decidendo chi lo debba stabilire. La discriminazione, che sia razziale o di qualunque altra natura, può annidarsi ovunque. Tutti possiamo esserne vittime o carnefici consapevoli o, sempre più spesso, incoscienti, ma il tema vero non è chi decide cosa è razzista, ma l’esclusione o la discriminazione reale di alcuni da parte di altri, laddove questo non dovrebbe avvenire. Di uomini e donne discriminati ce ne sono miliardi ovunque, ma qualcuno continua a riferirsi sempre e solo ad alcuni di essi. Forse fa universalmente più chic…