Ho da poco scoperto che su Whatsapp esiste la funzione “stato”. La mia prima impressione è stata abbastanza fredda. Ho pensato: “Perché modificare spesso la mia foto, magari con l’aggiunta di qualche commento in una chat che ha il solo scopo di diffondere comunicazioni brevi, o comunque di rapido consumo?”. Continuo a pensarla così, ma l’irrazionalità che condiziona molte delle mie scelte, mi ha suggerito che quella funzione poteva essere qualcosa di più di un ricambio della mia immagine sul profilo. Ho capito che, volendo, avrei potuto comunicare attraverso foto e parole il mio umore del momento o, in alternativa, non farlo. L’ultima mia immagine postata sullo stato di Whatsapp è stata una foto in bianco e nero di me e del mio Golden Retriever Mr. Green, sul divano, intenti a fare ciò che amiamo di più: dormire. Ho pensato di titolarla “Uomini e cani” in ricordo di John Steinbeck dal quale ho immoralmente storpiato il titolo della sua opera. Mentre ripensavo a Uomini e Topi mi è venuto in mente, come in un riflesso pavloviano, tutto il clamore mediatico dei fatti di Macerata. Un attento lettore del Nobel americano direbbe, parafrasando Di Pietro “Che ci azzecca!” e non avrebbe neanche tutti i torti. Lo so già senza bisogno alcuno di doverlo ammettere: sono contorto e spesso, per esprimere un concetto semplice e diretto, parto dal libro della Genesi in ebraico antico. Non me ne vanto affatto e, anzi, cerco disperatamente di essere più sintetico, ma con scarsi risultati. Comunque, tornando a Uomini e Topi, per chi non l’ha ancora letto, si tratta di un romanzo su due amici che giravano per le fattorie americane in cerca di lavori stagionali. Lennie, un individuo grande e grosso ma affetto da ritardo mentale e George un tipo invece piccolo di statura, minuto, ma molto intelligente e furbo. Di fatto il secondo si prendeva cura del primo, evidentemente non in grado di badare a sé stesso, non disdegnando di utilizzare la sua scaltrezza per sbarcare il lunario. Il problema principale di Lennie era la sua forza fisica incontrollabile. Pur essendo una persona sensibile e gentile, nel maneggiare le cose involontariamente le stritolava con la sua forza incontrollata, a partire dagli oggetti fino ai piccoli animali, nel tentativo di accarezzarli. I due approderanno in una fattoria il cui proprietario deciderà di assumerli instradando senza volerlo il romanzo verso il tragico epilogo. Lennie per errore ucciderà la nuora del padrone e George per sottrarlo alla furia linciante della comunità deciderà di ammazzarlo di persona. Lo schema narrativo quindi è la povera vittima di un sistema incapace di comprendere la natura del “diverso” immolato dall’amico, o presunto tale, alla pietà del lettore. Alla fine George ne uscirà come un eroe pur dopo aver creato o almeno sottovalutato le condizioni favorenti la tragedia. La riprova della correità di George nella tragica vicenda di Lennie risiede nel fatto che prima del tragico epilogo egli stesso aveva indicato a Lennie un nascondiglio dove riparare in caso di necessità, consapevole della sua pericolosità. Il lettore (e forse anche l’autore…) vedrà nel gesto estremo di George tutta l’umanità possibile, nonostante i presupposti della tragedia, di fatto favoriti o almeno preconizzati da George. Quindi l’eroe della morale correct voluta dall’autore in realtà entra ed esce da quella medesima morale come di solito accade nella realtà di tutti.
Dunque, eccoci alla cronaca di questi ultimi giorni consumatasi a Macerata: una giovane ragazza con problemi di dipendenze viene trovata a pezzi in alcune valige. Dai riscontri sembrerebbe essere stata uccisa e sarà poi la medicina legale a stabilire quanto dall’overdose e quanto dalla mano dell’uomo o degli uomini. Due persone vengono fermate e si tratta di cittadini nigeriani. Poco dopo, sempre a Macerata, un tizio, cittadino italiano, decide di fare il tiro a bersaglio per strada su alcuni stranieri di colore. Affermerà dopo la cattura di essere stato mosso da un sentimento di vendetta per la ragazza uccisa. Viene poi fermato un terzo cittadino nigeriano a Milano per gli stessi fatti. Dopo pochi giorni l’Italia “antifascista” si dà appuntamento a Macerata per manifestare contro “il razzismo” e “il fascismo” pensando forse di inscenare il romanzo di Steinbeck. Il cliché del pensiero unico e corretto impone un sistema definito “fascista” e “razzista” che se la prende con l’anello debole della società, il Lennie di turno e il caso vuole che esso sia nella realtà rappresentato dal colore della pelle, dall’etnia, o dalla provenienza geografica dei migranti. Quel sistema malato, secondo gli “antifascisti” e gli “antirazzisti” corrisponderebbe allo squilibrato che ha deciso di impallinare persone che passeggiavano sul marciapiedi (alias i componenti della fattoria inferociti per l’omicidio perpetuato da Lennie). Quindi chiunque si lamenti di una situazione insostenibile chiedendo soluzioni, per i manifestanti del pensiero unico sarebbe come il “vendicatore” psicotico di Macerata o come la torva inferocita alla ricerca di Lennie. Ai filosofi della morale giusta basta nascondersi dietro fascismi e razzismi per giustificare la propria impotenza di fronte a un fenomeno incontrollato e non certo sostenibile con l’accoglienza samaritana di Boldriniana memoria. Tutto questo, accade indipendentemente dalla tragedia della ragazza di Macerata, la cui famiglia peraltro pare sia stata totalmente dimenticata dai grandi organizzatori dell’evento/corteo contro i “razzismi”, forse perché troppo impegnati a intonare slogan a difesa dell’Italia democratica, accogliente, tollerante e soprattutto antifascista. Concludo con due domande. La prima è: “Chi a questo punto interpreterebbe il ruolo bifronte di George?” La seconda, molto Politically Correct è: “Ma i paladini della difesa dalla violenza sulle donne dov’erano?” A quest’ultima mi rispondo da me: “Esattamente nella stessa piazza dove avveniva la manifestazione “antifascista” e “antirazzista”.
Alla prima domanda rispondetevi da soli…