Siamo certi che l’iconoclastia militante abbia a che fare con il passato? Demolire a martellate il volto di una statua raffigurante un grande personaggio d’altri tempi, illudendosi di giudicarne la storia, è perlomeno ridicolo.
Chi era László Tóth? Era un tizio che il 21 maggio 1972 entrò nella Basilica di San Pietro e d’un tratto con un martello da geologo colpì la Pietà di Michelangelo. Dapprima prese a martellate il capo della Madonna e poi, più volte, il volto e le braccia, lasciando però integra la figura del Cristo gridando: “Cristo è risorto! Io sono il Cristo!“. Venne ovviamente fermato e portato via, alla svelta per sottrarlo alla folla che intendeva linciarlo. Interrogato, disse: «Che ci sta a fare questa statua qui? Cristo sono io e sono vivo, sono il Cristo reincarnato, distruggete tutti i suoi simulacri». Non fu incriminato, ma internato in manicomio per due anni.
Bene, questo tizio evidentemente non voleva, nella sua visione distorta della realtà, distruggere un passato fatto di religione e arte, ma affermare un presente nel quale l’unica raffigurazione che contava era la sua, pur se delirante. Oggi, un manipolo di László Tóth, auto definitesi “Sentinelli”, a guardia di una morale, che definirei alterata e soprattutto alternata, ha deciso che la statua in bronzo di Indro Montanelli, collocata negli omonimi giardini a Milano, debba essere rimossa. Il motivo sarebbe il matrimonio tra Montanelli e un’adolescente africana al tempo della guerra in Etiopia, durante la quale il grande giornalista era ufficiale di Cavalleria. Soliti doppiopesismi morali o c’è dell’altro?
Per assonanza questi Sentinelli avrebbero dovuto preoccuparsi come minimo, da bravi guardiani della morale, di demolire pure la statua a Ostia che commemora Pier Paolo Pasolini, visti i suoi trascorsi giudiziari. Lo scrittore, poeta, regista, ecc. era stato accusato nel ‘49 di aver pagato tre minori per rapporti sessuali. Fu poi processato per atti osceni in luogo pubblico e corruzione di minore (uno dei ragazzi era sotto i sedici anni). Venne poi stralciata l’accusa di corruzione di minori per mancanza di denuncia e il dibattimento si concentrò sul fatto che gli eventi non si svolsero in un luogo pubblico ma in un campo nascosto da siepe e da un boschetto d’acacie. La sentenza arrivò nel gennaio del 1950: Pier Paolo Pasolini, e i due ragazzi sopra i sedici anni vennero giudicati colpevoli di atti osceni in luogo pubblico e condannati a tre mesi di reclusione ciascuno e al pagamento delle spese processuali.
A nessuno è venuto in mente di prendere a picconate il monumento che ricorda la sua statura letteraria, poetica e artistica di Pasolini, ma per questi eroi dell’etica al chilo, il simulacro di Montanelli può essere serenamente sciolto in una fornace. Emma Webb, una convinta antirazzista militante, non certo il capo della Supremazia ariana, ha dichiarato che: “L’abbattimento delle statue ha storicamente poco a che fare con la cultura” ricordando come, durante la rivoluzione francese, i parigini distrussero ventotto statue di re biblici dalla facciata ovest della Cattedrale di Notre Dame convinti che si trattasse dei re di Francia.
https://www.agi.it/estero/news/2020-06-11/iconoclastia-antirazzista-pericolosa-inutile-8873036/
La mia opinione è che questa tendenza di demolire statue e monumenti non sia motivata da una forma di fobia del passato, ma per la paura di scoprire quanto si è insignificanti di fronte a cose impossibili da raggiungere. Chi non accetta di essere semplicemente qualcuno, non accetta l’immagine che certifica il proprio fallimento nel non poter raggiungere quei grandi personaggi raffigurati in una statua, e quindi prima li infangano e poi distruggono la loro rappresentazione artistica.
È iconoclastia o ridicolocrazia?