Marco Porcio Catone detto “Il Censore” 234 a.c. 149 a.c. circa. Il virgolettato inganna; lui, pur se soprannominato in quel modo, era davvero un censore romano. Quella sua definizione non si riferiva a una personale prerogativa di severità, ma alla funzione ricoperta in un magistero prestigioso in quell’epoca che serviva a coordinare i censimenti della popolazione e non solo. Ciò non toglie che il nostro Marco Porcio fosse un tipo tosto, nel senso di testardo. Severo, moralista, fustigatore del malcostume pubblico e privato. Odiava i greci e la cultura ellenistica (…tra l’altro aborriva i medici perché nella Roma del suo tempo erano quasi tutti greci). Non era razzismo o esterofobia, ma uno scontro di culture: quella imperiale, tutta concentrata nelle istituzioni e nel diritto e quella ellenica, filosofica e precettata nelle scuole. Nonostante il pensiero greco avesse permeato sul piano artistico quella latina, erano come due placche geologiche contrapposte e generanti energia. Ciononostante convivevano tollerandosi e i greci non si sognavano di affermare primati di libertà in relazione alla loro cultura individualista.
Mi barcameno sul web prendendo atto della polemica per la pubblicazione delle vignette di Charlie Hebdo su noi italiani e sul terremoto. Non mi soffermo sul senso di disagio che si può provare davanti alla riproduzione di un dramma umano: è proprietà privata di ognuno. Non mi attardo neanche su definizione e funzione della satira nel mondo. Ho trovato addirittura un articolo, http://www.nextquotidiano.it/la-vignetta-charlie-hebdo-spiegata-non-sanno-leggere/ , dove qualcuno insegna a “…quelli che non sanno leggere” come si interpretano le vignette incriminate. Mi chiedo solo a questo punto che fine abbia fatto Saviano sempre attento a insegnare a distinguere i messaggi fuorvianti nell’iconografia della comunicazione.
Comunque, già in troppi si esprimono orgogliosamente su un tema che, lo dico in tutta onestà, non mi interessa neanche un po’ e lo affermo consapevole di quanto il mio disinteresse non interessi a nessuno.
Ciò che non riesco ancora a digerire (ed è solo una tra le infinite cose delle relazioni umane a me indigeste) è che, ogni qual volta si parli di satira, qualcuno tiri in ballo il concetto di libertà.
Che diavolo c’entra la libertà di espressione, con chi lavora con la satira? Non mi sembra di aver ancora assistito nel mondo occidentale all’arresto con impalamento di un vignettista per violazione del reato di divieto di satira. Peraltro la satira (scopro, sempre da Wikipedia, provenire etimologicamente da lanx satura: piatto ricco di svariate primizie offerto agli dei) dalle sue origini latine si è sempre distinta per varietà di generi e argomenti. Inutile opporre distinguo in seno agli obiettivi di quest’ultima, Islam, mondo cristiano, politica, costume, che sia. La satira delle vignette di Hebdo se la prende con chiunque, anche se il taglio sferzante e dissacrante sembra variare velatamente quando tratta argomenti drammatici avvenuti tra le mura di casa, compreso il feroce attacco sferrato dai Jihadisti proprio contro la testata. A nessun eroico vignettista d’oltralpe pare venga in mente di ironizzare sulle vittime di Nizza con la stessa ripugnanza (sempre satirica si intende…) mostrata in altri casi, compresa l’associazione di immagini tra un piatto di pasta fresca e il macello umano sotto le macerie di un tragico sisma.
Rimane il fatto che la libertà di quei vignettisti, pur se minacciati, sparati, insultati, denunciati, non sia mai stata messa in discussione e ogni tintinnio di catene evocato a loro sostegno non è solo fuori luogo, ma falso. Come falsa è la retorica intorno al disgusto verso quelle vignette. Esiste un limite alla satira? La mia a risposta è no, non può esserci un limite perché quella è una modalità di espressione come tante. Ma se la domanda è: “Esiste un limite per gli effetti che la satira genera? Io dico di sì e quel limite è insito proprio in un altra libertà, quella di reagire da parte di chi non è d’accordo sui temi e/o sui contenuti, naturalmente non a colpi di kalashnikov, ma a colpi di espressione. Se e quando lo ritengo opportuno devo poter liberamente esprimere il mio ribrezzo verso qualunque forma di satira senza per questo essere definito dai “Satiristi” un liberticida.
Riesumare lo spettro dell’azione censorea di Catone da parte dei sostenitori di Charlie e co., trascinati dagli “al lupo, al lupo” di questi ultimi, è solo una tattica di sopravvivenza, non certo a una repressione inesistente e inventata, quanto a una lenta agonia di idee e stile.
Si può essere spietati e crudeli, ma senza stile si appare solo banali.