La gente di spettacolo è a volte ingrata o forse solo imprecisa. Sgombriamo subito il campo: non nutro alcunché di negativo contro chi vive di spettacolo. Ho splendidi amici tra chi si confronta con la dura realtà di quel mondo, riuscendo a regalare sorrisi e buon umore agli spettatori. Tuttavia è sempre più frequente che alcuni di essi si avventurano in temi scoscesi, anzi direi scivolosissimi. Loro malgrado diventano tribuni improvvisati utili a supportare luogocomunismi che cercano di rianimare il cadavere delle ideologie in assenza di altre idee. Il povero Flavio Insinna c’è cascato. Lui è un presentatore, non un politico scaltro e navigato. È un bravo caratterista, dice cose e le dice con splendide espressioni del volto e con parole che sembrano spontanee. Comunque, nel giubilo emozionale degli applausi in studio egli conclude il proprio discorso con: «Io non voglio vivere in questo Paese, io voglio vivere in un Paese gentile che aspetta chi arriva tardi» oramai diventato virale in rete.
È la chiosa di un monologo che parte da: « Il Paese è malato di solitudine e di indifferenza. L’unica cura è l’amicizia.» transita da: «Voi dividete il mondo in italiani e stranieri, io lo divido in oppressi e oppressori; io sto con gli oppressi tutta la vita.» e, prima di approdare alla dichiarazione di volontà verso un Paese gentile, fa una puntatina verso: «A me spaventa la doppia velocità della nostra morale: se è per noi vogliamo tutto e subito se è per gli altri…no».
Nel 2006 al concerto degli Stones al Milano Mick Jagger sfoderò una bandiera italiana e al Pooo, po, po, po po, poooo di tutto lo stadio si trasformò in quella di Micheluzzo Giagghero da Corato, sventolando il tricolore come un tifoso latino impazzito. È spettacolo, l’avrebbe fatto e l’ha fatto, com’è normale che sia, a Rio con la bandiera verdeoro, in Germania cantando Deutschland Deutschland uber alles e in tutti gli altri posti del mondo ospitanti la tournée degli Stones. Non che Insinna evochi Jagger (alias Giagghero), ma la piaggeria retorica di un artista in una trasmissione televisiva o in un teatro è cosa ovvia, fa parte della propria auto promozione. Anzi, più il tema è generalista e moralista, più è indicato per il self marketing . Quindi, nessuna osservazione di metodo. Ma a chi si riferiva Insinna parlando di oppressori dalla doppia morale? Alla famiglia piccolo e medio borghese che sostiene quasi per intero lo share televisivo della sua trasmissione di mezza serata, con la promessa, a suon di pacchi e scommesse, di una vita migliorata di colpo? Oppure ai telespettatori che attraverso il canone contribuiscono, insieme agli imprenditori italiani con la loro pubblicità (forse “oppressori” per lui e la Berlinguer…), a pagare il suo cache e anche quello della bella Bianca?
Lui è spaventato dalla doppia velocità della morale? Ma di chi?
Di quelli che si aspettano semplicemente una pensione decente, scippata da scelte improvvide, dopo una vita di contributi, una visita medica in tempi umani nonostante iscritto al SSN, una sentenza giudiziaria definitiva prima di dieci quindici anni o anche quelli che sperano in un Paese dove il merito conti, se non più, almeno quanto una tessera sindacale?
Infine, il simpatico Insinna non vuole vivere in Italia, vorrebbe trasferirsi in un Paese gentile che aspetta chi arriva tardi?
Ma per lui e, gli altri, presenti in quello studio televisivo, oltre ai migranti che fuggono dalle guerre, (…che insieme ai cosiddetti “migranti economici”, non sono gli unici) siamo sicuri che esistano anche altri in ritardo ugualmente degni di essere attesi?
Se Insinna avesse fatto il piccolo sforzo di guardare oltre la telecamera del suo programma “I pacchi” avrebbe visto milioni di persone ‘”in ritardo”, sedute davanti allo schermo televisivo del proprio tinello che lo seguono tutte le sere. Forse, il primo a essere gentile con loro avrebbe dovuto essere lui, nell’includerli nella pletora di ritardatari, non per colpa di una guerra o una dittatura o della fame. Persone vicine a noi, ma lontane migliaia di chilometri dal costoso carrozzone demagogico dei politicamente corretti che per non guardare come hanno ridotto il nostro Paese, preferiscono preoccuparsi solo di chi va via dal proprio.