E così il moralismo trionfò ancora. Nell’ultimo programma “DiMartedì” condotto da Giovanni Floris, prima dell’intervento di Marco Travaglio, viene mostrata una scheda che elenca tutte le vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi.
Nel giornalismo è del tutto lecito mostrare ciò che fa notizia, anche se quella scheda non so se sia ancora una notizia. Certo, appoggiata alla candidatura al Quirinale del “Caimano”, come graziosamente definito da Nanni Moretti, quell’elenco di procedimenti penali aveva la funzione di rafforzare l’opinione dei telespettatori contrari a Berlusconi Presidente. Ma i fatti non dovrebbero essere distinti dalle opinioni, come teorizzato dal compianto Lamberto Sechi, storico direttore di Panorama? Peraltro, le opinioni che quella scheda vorrebbero stimolare sono la consueta chiamata alle armi contro pericolo di una decadenza dei costumi, paradosso del nostro Paese. Nel 2008 un illuminante articolo di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera
descriveva il demone che spinge di continuo una parte di Italiani a credere non solo che “il proprio Paese è governato (o può esserlo da un momento all’altro se vincono gli «altri») da una masnada di furfanti corrotti, ma che questi furfanti, in fondo, non sono altro che il vero specchio del Paese, o meglio della sua maggioranza.” Della Loggia lo chiamava “…moralismo divisivo“. L’Italia per i sostenitori di quel moralismo “…non sarebbe un unico Paese, fatto di caratteri buoni e cattivi, intrecciati inestricabilmente in tutte le sue parti e in certa misura dentro ognuno di noi“, ma una Nazione con “due anime, due morali, addirittura due popoli di segno opposto. Da una parte gli Italiani cattivi (per natura reazionari, prevaricatori e imbroglioni) e dall’altra invece gli Italiani buoni (altrettanto naturalmente democratici, rispettosi della legge e attenti al bene pubblico). Da una parte insomma l’Italia maggioritaria moralmente grigia; e di fronte, a cercare di contrastarla, quella che ama definirsi «l’altra Italia», irrimediabilmente di minoranza.”
La lucida analisi del giornalista del Corrierone coincide perfettamente con le opinioni di Floris e Travaglio, nella puntata di DiMartedì, saldate tenacemente ai fatti inseriti nella scheda sui guai di Berlusconi. La vita giudiziaria di quest’ultimo deve per loro, (e non solo loro), essere il driver di tutte le opinioni su una parte del Paese che aspiri ad avere e affermare idee o convinzioni. Se dovessimo valutare gli altri tramite l’elenco dei procedimenti giudiziari, lo stesso Travaglio, viste le condanne per diffamazione a proprio carico, magari elencate in un talk show, non dovrebbe essere considerato un buon giornalista. Ma, come noto, uno vale uno solo con gli altri.
A proposito, un sentito in bocca al lupo a Beppe Grillo…