La strada e gli “imbecilli” di Umberto Eco

La strada. È un sostantivo, ma anche un’accezione se intesa come luogo dove avvengono cose oscure, sporche, pericolose oppure dove si consumano esperienze di vita che dovrebbero fortificare, rendere più esperti. Immagino il web e i social come accezioni e non sostantivi. Lì c’è di tutto e Umberto Eco che chiamava la rete luogo che concede il “diritto di parola a legioni di imbecilli”, forse la pensava così anche della “strada”, intesa come accezione. Il web è enormemente più connesso al mondo di una strada o di un quartiere malfamato, ma fornisce la stessa varietà umana di un qualunque luogo fisico, una varietà dove tutto e il suo peggio convivono e si intrecciano. È comprensibile che gli intellettuali di élite, gelosi di essere tali, provino disappunto nel confondersi in un oceano di grezza umanità. Lo snobismo culturale fa fatica ad adattarsi a un mondo così eterogeneo, salvo riempirsi la bocca di apologie sulla libertà di espressione. Ma quando l’élite si degna di scendere nei bassifondi sottoculturali non esita a tagliare di netto il diritto di esprimersi, decidendo chi è e chi non è un “imbecille”.

Senza alcun riferimento agli “imbecilli” di cui sopra, per cui chiarisco immediatamente che la suddetta citazione di Umberto Eco non c’entra con coloro di cui citerò i commenti dei quali non rivelerò i nomi, racconterò un fatterello che mi riguarda direttamente. All’indomani della pubblicazione del mio post precedente, Lo spirito maligno del passato, i soliti due o tre lettori (…tra cui il sottoscritto), commentavano le mie esternazioni sull’universalità della cultura e sull’inutilità (se non il pericolo) di catalogarla in buona e cattiva:

Commento di un amico: «Certe “culture” eliminano la possibilità per altre culture di esistere. Perciò vanno combattute con ogni forza.»

Rispondevo, sperando si comprendesse l’ironia del virgolettato: «“insignificanti” effetti collaterali delle ideologie…»

Il mio interlocutore ribatteva: «Dovresti dirlo a sei milioni di ebrei»

Ho chiesto una spiegazione sulla correlazione tra shoah e quanto da me espresso sulla distanza siderale tra cultura e ideologie senza però ricevere risposte. Convinto da sempre di far parte di quelle legioni di “imbecilli” coniate dal professor Eco, speravo in una risposta per poter risalire la china della mia imbecillità, ma da allora attendo ancora. Mi sto quasi rassegnando a rimanere imprigionato nell’incapacità di capire. Tuttavia continuerò lo stesso a scrivere sulla rete, a fare (e a farmi) domande sapendo che a volte arriverà una risposta, a volte un complimento, più spesso un insulto o uno sfottò. Nessuno mi obbliga a presenziare nel web e se preferivo una rete a mia misura me la sarei progettata e realizzata; ma essendo un “imbecille” non ne sono stato capace.

Tornando al tema, oggi leggo di una maestra di Torino che durante gli ultimi scontri con le forze dell’ordine urlava contro gli agenti schierati ogni insulto, augurando loro di morire. Intervistata dai giornalisti del programma televisivo “Matrix” affermava: “«Sì, ho detto quelle parole perché loro stanno proteggendo i fascisti, e perché un giorno potrei trovarmi fucile in mano a combattere contro questi individui». Per me è abbastanza chiaro a quale “legione” appartenga questo atteggiamento, così come è più che evidente che la maestra abbia sbagliato mestiere, (…avrei qualche riserva se fosse l’insegnante di mio figlio), senza parlare della sua dissociazione spazio temporale in merito alla nazione dove vive e all’epoca attuale. Tuttavia essa è parte di quel tutto che esiste, purtroppo pure per quel poliziotto, “nemico del popolo”, che si è ritrovato una scheggia metallica nei muscoli partita da una bomba carta dei compagni della guerrigliera fuori tempo.

Che vogliamo fare, ci indigniamo per la prof col fucile in spalla? Tanto non costa nulla e facciamo tutti pure bella figura. Mi vengono in mente le bandiere francesi sui profili fb all’indomani della mattanza a Parigi di poliziotti e giornalisti di Charlie Hebdo. Anche i fondamentalisti imbracciavano fucili per combattere contro qualcuno che essi consideravano “fascista” inteso plasticamente come accezione tiranneggiante l’Islam. Secondo quei terroristi quei poliziotti non erano lì per far rispettare delle leggi, ma per soffocare il mondo musulmano ed è bastato questo per imbracciare le armi e sparare. Tuttavia il pericolo attuale non è secondo i bombaroli di Torino la difficoltà di capire un mondo del lavoro che cambia ogni giorno, ma qualcosa di morto e sepolto da quasi ottant’anni. Così come morta e sepolta tra quei ragazzi è la necessità di studiare e apprendere la storia, prima di scendere in piazza, non solo quella pre conflitto mondiale, ma soprattutto quella dal dopoguerra ad oggi. Forse farsi qualche domanda in più prima di rispondersi su ciò che non sanno, sarebbe meglio per tutti.

Intanto aspetto ancora risposte…

Author: admin

Michele Morandi nasce a Napoli nel 1964. Dal 1990 vive a Torino dove svolge la professione di Medico Igienista. Il suo indissolubile legame con Napoli, così come la cultura degli anni ’70, hanno fortemente influenzato la sua azione creativa. La trasposizione di immagini e vissuti del passato sono sempre diretti a un’interpretazione della realtà corrente. Nel 2013 pubblica per la Hever editrice L’uomo che non esiste. Il volume è stato presentato a Napoli presso la Saletta Rossa della Libreria Guida e a Torino al Salone Internazionale del Libro di quell’anno. Nel 2015 pubblica sempre per la Hever editrice Il teorema della memoria, presentato a Torino in anteprima presso il Salone Internazionale del Libro e a Napoli presso il Palazzo delle Arti. Nel 2019 pubblica per L’Erudita del Gruppo Giulio Perrone Editore Segui la marea. E’ autore del blog Il buco nelle nuvole, una pagina che oltrepassa la cortina nebbiosa del politically correct e del pensiero unico oggi imperante nel giornalismo e nella politica.