Il sultano e San Francesco. La narrazione del vorrei ma non posso

Sul web più che navigare mi sembra di andare alla deriva e il mare su cui sto naufragando non è certo quello dell’indignazione. È un sentimento che ritengo privato, nella misura in cui non ho soluzioni concrete per poterlo gridare ai quattro venti. L’oceano su cui mi sto perdendo è quello della noia. È sconfinato e non ha per definizione riferimenti utili per sperare di approdare sulla terra ferma. Un amico ha espresso con una condivisione social il suo gradimento partigiano per la risposta a mezzo stampa a Oriana Fallaci di un apodittico Tiziano Terzani sul Corriere della sera dell’8 ottobre 2001 “Il sultano e San Francesco” nel quale replica all’ormai celebre articolo di quest’ultima sull’Islam: “La rabbia e l’orgoglio“.
Non me ne dolga il mio amico che ha condiviso con grande orgoglio le parole di Terzani. Lo stimo e spero che lui stimi me, ma su Terzani non sono assolutamente d’accordo con lui. Mi piacerebbe dire di non essere d’accordo con l’articolo di Terzani, ma non posso! Il motivo è che non si può essere o non essere d’accordo con una “non soluzione”. La chilometrica lettera/articolo passava da Gandhi a Kraus, da Krippendorff ad Einstein, da Shakespeare e a ritroso fino a Eschilo. Era una poderosa omelia dedicata alla necessità di non rispondere alla violenza con la violenza. Peraltro, l’autore chiariva, mettendo le mani avanti, di non aver risposte ai suoi dubbi
: Il tuo attacco, Oriana – anche a colpi di sputo – alle “cicale” ed agli intellettuali “del dubbio” va in quello stesso senso. Dubitare e’ una funzione essenziale del pensiero; il dubbio e’ il fondo della nostra cultura. Voler togliere il dubbio dalle nostre teste e’ come volere togliere l’aria ai nostri polmoni. Io non pretendo affatto d’aver risposte chiare e precise ai problemi del mondo (per questo non faccio il politico), ma penso sia utile che mi si lasci dubitare delle risposte altrui e mi si lasci porre delle oneste domande.” Quelli che lui chiamava dubbi in realtà erano giudizi perentori mascherati da incertezze e, almeno nelle intenzioni dell’autore, contundenti verso chiunque avesse nutrito un moto reattivo dopo l’aggressione dell’11 settembre, così come la natura umana insegna. Tutte le persone dotate di un minimo di ragionamento non disdegnano i dubbi ma, quando si trasformano in una pietra lanciata dopo aver ritirato la mano, i dubbi medesimi acquistano il retrogusto della provocazione. Certo, le provocazioni assumono sembianze sempre diverse a seconda di chi le adotta. Possono apparire becere, ignoranti, ottuse se a esprimerle sono le persone comuni prese dal disagio di un sistema che non tutela a sufficienza i propri cittadini prima di tutelare gli altri. Oppure possono apparire illuminate, colte, intelligenti se a diffonderle sono intellettuali al riparo da tutto questo, magari ben nascosti dietro lo schermo del proprio pc e delle proprie utopie. Splendide frasi quelle di un celebre autore come Terzani. La suggestione è il mestiere dello scrittore, ma un minimo passo oltre le proprie funzioni fisiologiche ogni autore potrebbe pur farlo, se non altro per spiegare agli obiettivi delle sue critiche quale potrebbe essere una soluzione più concreta del “volemose tutti tanto tanto bbene…”

Il solito Michele Serra nella sua ultima rubrica “L’amaca” continua ad appellare “la destra politica” (…non si capisce mai a chi si riferisca con precisione con quella definizione) “canea razzista” evocando scenari da caccia alla volpe nelle campagne britanniche in epoca vittoriana. Chi dissente dal suo pensiero solidale rientrerebbe nelle torve di cani ululanti all’inseguimento della selvaggina da dilaniare senza se e senza ma. Serra è un maestro di ironia e dialettica, ma gli sfugge, dal confortevole retro dei suoi articoli, che non c’è alcuna caccia, perché la selvaggina, cibo d’elite, in questo Paese è già stata consumata da noi dipendenti statali (…quelli sì a frotte), dai demagoghi come lui di un socialismo (ir)reale e da tutti coloro che si girano dall’altra parte per non voler affrontare l’olezzo dei problemi reali dei nostri giorni.

In un’intervista, su Repubblica http://www.repubblica.it/politica/2017/08/29/news/boldrini_stupro_rimini-174147483/ la Presidente della Camera alle domande su alcune reazioni dei suoi avversari politici al recente fatto di cronaca a Rimini ha dichiarato: “Sullo stupro di Rimini dibattito agghiacciante: stiamo toccando il fondo”. Questa volta mi sento totalmente d’accordo con la Presidente(ssa). E’ vero, il dibattito è quanto mai agghiacciante, ma credo che proprio, dall’alto della sua posizione istituzionale, debba cominciare lei a dare il buon esempio, oltre a indignarsi pubblicamente ogni qual volta arrivano provocazioni, anche da suoi colleghi parlamentari. Oltre a ritenere di dover abbattere l’edilizia del periodo fascista o modificare la carta intestata della Camera dei deputati in nome dei diritti delle donne e a esprimere a livello istituzionale e umano un ovvio ribrezzo per gli stupri, potrebbe ad esempio provare a esprimere proposte un po’ più tecniche sul controllo dei flussi migratori nel mediterraneo e sugli accordi internazionali a favore di interventi mirati direttamente nell’area del Nordafrica per affrontare il fenomeno in loco, al di là dei suoi discorsi fiume sull’accoglienza e la solidarietà.

La differenza tra la Presidente(ssa), il compianto Terzani e Michele Serra è che questi ultimi potevano e, rispettivamente, possono permettersi di lanciare petardi e poi nascondersi dietro la loro aura di intellettuali di professione. Lei, oltre a essere un politico, è anche un’alta, anzi altissima, Istituzione del Paese e pensare di cavarsela con una dichiarazione pubblica di disgusto per i provocatori che strumentalizzano la cronaca, in aggiunta a qualche frase estrapolata da Brecht, non basta a esaurire le incombenze del proprio ruolo prestigioso.

A proposito di provocazioni e strumentalizzazioni varie, ma se il gruppo di aggressori fosse stato composto da italiani, magari pure di buona famiglia Serra a chi avrebbe destinato l’appellativo di “canea”? Voglio immaginare che in quel caso, come in quello realmente accaduto, i sostenitori del “pensiero unico” e corretto avrebbero espresso solo una timida indignazione e non sarebbero scesi in piazza a manifestare in tutta Italia contro ogni sessismo, maschilismo, antifemminismo senza roboanti reazioni indignate delle Istituzioni, che per definizione dovrebbero rappresentare tutto il Paese…oppure no?

Author: admin

Michele Morandi nasce a Napoli nel 1964. Dal 1990 vive a Torino dove svolge la professione di Medico Igienista. Il suo indissolubile legame con Napoli, così come la cultura degli anni ’70, hanno fortemente influenzato la sua azione creativa. La trasposizione di immagini e vissuti del passato sono sempre diretti a un’interpretazione della realtà corrente. Nel 2013 pubblica per la Hever editrice L’uomo che non esiste. Il volume è stato presentato a Napoli presso la Saletta Rossa della Libreria Guida e a Torino al Salone Internazionale del Libro di quell’anno. Nel 2015 pubblica sempre per la Hever editrice Il teorema della memoria, presentato a Torino in anteprima presso il Salone Internazionale del Libro e a Napoli presso il Palazzo delle Arti. Nel 2019 pubblica per L’Erudita del Gruppo Giulio Perrone Editore Segui la marea. E’ autore del blog Il buco nelle nuvole, una pagina che oltrepassa la cortina nebbiosa del politically correct e del pensiero unico oggi imperante nel giornalismo e nella politica.