L'insostenibile leggerezza dell'essere e dell'apparire

«Capra, capra!! Str..cogl…faccia di m…!!!». Tempi eroici della TV d’assalto, poi definita con un certo fighettismo: “trash”. Vent’anni fa esordiva la forza della natura televisiva, (quella gastrointestinale), ad opera di personaggi che arricchivano il mercato del lavoro con nuove professionalità mediatiche: opinionisti, tronisti, esperti di qualcosa (non importa cosa…), politici distaccati a tempo pieno in studi televisivi, giornalisti giudiziari d’assalto, eccetera. A gestire le nuove leve di mestieranti TV, nascevano i conduttori di talk show, votati alla gestione delle intemperanze dei nuovi eroi dell’etere. Urla, aggressioni, turpiloquio, (quest’ultimo, se perpetrato da grandi critici d’arte, ex leader politici e importanti editorialisti, sembrava facesse tanto chic), erano la nuova frontiera divulgativa delle nevrosi inespresse del cittadino medio. In alcuni casi il profilo dei nuovi arrivati era di tutto rispetto; stimati e noti critici d’arte, eminenti accademici, sferzanti giornalisti hanno costruito il proprio personaggio pubblico su quegli schemi di comunicazione aggressiva, in apparenza maldestri, ma efficaci, fino a raggiungere soglie di notorietà elevatissime. Ma qual’è il punto?

Le opinioni possono sempre essere sgradite e criticate con altre opinioni e fin qui nulla di nuovo, ma se i contenuti spariscono totalmente e si spaccia per opinione l’urlo, la bestemmia e la fuga indignata dagli studi televisivi, (…con tanto di sbattimento della porta), sembrerebbe la fine, ma ecco avvenire il miracolo: la forma diviene l’unico messaggio da trasmettere. Ciò non è certo per mancanza di temi o di quella cultura necessaria per affrontarli, anzi. I maggiori fautori di queste vetrine iraconde, all’insegna delle nevrosi contemporanee, sono persone di straordinaria preparazione e spesso insegnano e diffondono sapere, lontani dalle telecamere. Precipitare in questioni da bar, spacciandole per dotte linee di pensiero, passando dall’inciviltà dei meridionali, al magna magna del politico di turno, agli aiutini o ai torti arbitrali a questa o quella squadra di calcio, fino allo spacco del vestito, con annessa farfallina tatuata, della show girl più amata dagli italiani, è il copione più ambito dagli intellettuali televisivi. Alcuni potrebbero parlare per ore, passando da Masaccio a Wahrol, e, a ritroso, da Pollock a Michelangelo, o, da protagonisti, dell’affascinante storia giornalistica del nostro Paese negli ultimi cinquant’anni, riuscendo a polarizzare l’attenzione anche di un bambino di terza elementare e invece ululano bestemmie, oltre la soglia consentita di decibel, sulla vicenda di Fabrizio Corona o sulla scelta delle primedonne al festival di Sanremo.

Qualcuno sussurrerà: “Ma alla gente piace questo”. Nulla da eccepire, soprattutto in tema di share televisivo. Non è però facile digerire la frustrazione volontaria e totalizzante dell’essere di costoro al posto del proprio apparire. Sicuramente l’inoppugnabile ragione del budget suggerirebbe che è esattamente quel contrasto a suscitare l’interesse mostrato dagli spettatori alle risse per futili motivi e se quell’interesse valesse il cache riconosciuto a costoro, allora tutto quadrerebbe. Forse, a fare strano è il prendere atto che uomini di elevato spessore culturale alla fine sono uomini esattamente come tutti i televedenti e, soprattutto, teleudenti. Invece, è proprio quello ad essere vincente. Uomini stimati e pieni di livore, si esprimono aggredendo temi di scarso peso, ma alla portata di tutti, ed ecco il sillogismo che attiva il transfert del telespettatore: «Sgarbi, uomo di grande cultura, dice le parolacce e insulta urlando verso il proprio interlocutore in TV. Io, telespettatore medio, insulto gridando contro il vicino di casa. Quindi, anche io, telespettatore medio, sono automaticamente uomo di grande cultura…».

Ultimamente alcuni opinionisti come Giuseppe Cruciani e Giampiero Mughini, sembrano ossessivamente risucchiati verso temi come l’antinapoletanismo militante e in particolare quest’ultimo, che di militanza in passato se ne intendeva. Sono attratti morbosamente dagli insulti che ricevono in risposta alle loro provocazioni. Sembrano gratificarsi dall’ondata di liquami verbali, postati sui social principali, che li investono quotidianamente a ogni loro esternazione, per poi stupirsene con puntualità svizzera, al pari di personaggi della portata di Vittorio Feltri. Anzi, in tal senso apro un altro tema che spesso mi lascia dubbioso. Sembrerebbe che per insultare e sputtanare in questo Paese sia necessaria un’iscrizione a un ordine professionale e un relativo patentino. Se sei giornalista puoi aggredire, essendo abilitato, altrimenti, se esprimi a qualunque altro titolo le tue opinioni nella medesima maniera, scatta il: «Non le permetto di affermare certe cose…» con le relative pesanti coseguenze.

Aurelio De Laurentis, che giornalista non è, spara ad alzo zero bordate di fuoco contro una gloriosa testata giornalistica sportiva e contro un suo cronista, tradizionalmente poco teneri con la SSC Napoli e con il suo presidente. Dopo un paio di nanosecondi tutto un mondo corporativo, compreso il giornalista che lo sta intervistando, si infiamma con reprimende, anatemi, denunce, minacce ed esposti. Qualcuno, a causa delle opinioni di De Laurentis, pur se espresse sgangheratamente e con evidente sovreccitamento, dopo Napoli Real, lo accusa di aver messo a repentaglio l’incolumità di quel cronista, già oggetto di intimidazioni da parte di esagitati. Certo, De Laurentis non fa parte della categoria giornalistica e non può certo avvalersi del diritto di cronaca o di espressione; quello è riservato solo agli appartenenti all’Ordine. Solo in possesso del patentino giusto si può avere la licenza di sbattere in prima pagina uno sconosciuto qualunque dopo un avviso di garanzia che gli costerà la sospensione dal lavoro, il giudizio discriminante di conoscenti e colleghi, la riprovazione dei propri figli da parte dei compagni di scuola, e tutto ciò che oggi comporta un semplice atto giudiziario, che nella maggioranza dei casi pur finendo archiviato o in un’assoluzione, sarà una condanna a prescindere, sancita dai media. La licenza di sputtanamento non è per tutti, ma solo per gli autorizzati.

Per cui se aspirate a intraprendere il mestiere di opinionista in TV, procuratevi di corsa un patentino da giornalista perché altrimenti urlare (opinioni) contro qualcuno potrebbe costarvi molto caro…

Author: admin

Michele Morandi nasce a Napoli nel 1964. Dal 1990 vive a Torino dove svolge la professione di Medico Igienista. Il suo indissolubile legame con Napoli, così come la cultura degli anni ’70, hanno fortemente influenzato la sua azione creativa. La trasposizione di immagini e vissuti del passato sono sempre diretti a un’interpretazione della realtà corrente. Nel 2013 pubblica per la Hever editrice L’uomo che non esiste. Il volume è stato presentato a Napoli presso la Saletta Rossa della Libreria Guida e a Torino al Salone Internazionale del Libro di quell’anno. Nel 2015 pubblica sempre per la Hever editrice Il teorema della memoria, presentato a Torino in anteprima presso il Salone Internazionale del Libro e a Napoli presso il Palazzo delle Arti. Nel 2019 pubblica per L’Erudita del Gruppo Giulio Perrone Editore Segui la marea. E’ autore del blog Il buco nelle nuvole, una pagina che oltrepassa la cortina nebbiosa del politically correct e del pensiero unico oggi imperante nel giornalismo e nella politica.